La depilazione non è una cosa per tutti. Un’onta da subire e un’inimmaginabile sfottò del pelo e della radice, ben salda, lesa autorità dell’epidermica coscienza di una donna di nome Pilar. L’ultimo noir, Depilando Pilar edito da Mondadori, fatica libraria che poco accomuna le felici apparizioni televisive di Andrea G. Pinketts ad un argonauta di navigata esperienza dell’etere ignoto, talune volte ignobile, straborda di una eccezionale milanesità contaminante. Lazzaro Santandrea il protagonista della serie di romanzi dalle elaborazioni poco misogine ( nei suoi scritti la donna non è mai una parentesi uterina; per le aspettative di ordinaria love storie, rivolgesi ad altri scrittori.) pinkettiane, non raffigura come molti sentenziano esclusivamente l’alterego dell’autore. In parte è Pinketts e spesso e volentieri è un uomo nuovo. Avvizzito per i pochi pastis realmente d’autore e per le poche occasioni di onorare a suon di sganassoni la decadenza e le virtù cittadine. Una città da vivere e da prendere con le molle in tutte le sue sfaccettature: a volte cinica, disposta a donarsi completamente e a riprendersi tutto di un fiato ciò che ha elargito. Il protagonista Lazzaro Santandrea ne è conscio nell’attimo esatto in cui deve fare i conti con un inimmaginabile “condiloma” e con un intricata sequela di omicidi per nulla rassomiglianti al mondo investigativo degli anni 40. Una ragnatela fitta di saltimbanco, nani guerrieri, colletti bianchi, splendide donne dalle grazie davvero particolari e, a differenza di anni in cui le mine antiuomo S-mine (mina terrestre antiuomo creata in Germania negli anni trenta ) erano impiegate per un uso puramente bellico, dovrà affrontare i nuovi creatori, mercanti delle deflagrazioni milionarie e dei commercianti di morte sotto mentite spoglie affaristiche, inclini alla solidarietà freak. Il tutto sapientemente condito da un duo fraterno: un coetaneo di Lazzaro convinto di essere suo figlio e l’assassino, il colpevole delle colpe dell’insulsa viltà altrui dotato di super poteri mentali. A tutto c’e’ rimedio ma non a un pelo. Una donna che convive felicemente con il suo irsutismo; un porto sicuro in cui Lazzaro troverà una spalla e l’inequivocabile senso di certezza dovuto a una radice pilifera ben salda, metafora delle radici e delle sicurezze che ognuno di noi annovera nell’inconfutabile stabilità di una vita, che per alcuni, è solo dedita ad un’ ordinaria esistenza. In questo romanzo la narrazione non è certo una trasmigrazione Jacovittiana e non narra un corollario di salami svolazzanti e pesci ridotti a reste. La mucca Carolina ha la barba. Un contrassegno indelebile a cui molti sfuggono grazie all’incessante omologazione socio-culturale, politica, a cui lei è immune. La esibisce senza problemi, la pettina, senza mai aver pensato una sola volta di cedere all’utilizzo strumentale di un rasoio-cesoia, propenso a eliminare completamente un radicato stile di vita. Depilando Pilar stordisce e mescola nell’animo del lettore, sempre più ebbro di pagina in pagina, frammenti di storia mai immobili insieme a trascorsi cittadini. Dal vecchio Le Trottoir di Corso Garibaldi fondato da Max Mannarelli e da Michelle Vasseur nel ’94, successivamente trasferitosi alla Darsena dove era ed è possibile dialogare con la vita dandogli del tu, annullando ogni concetto di locale alla moda demordé, agli scorci che da sempre caratterizzano Milano; in alcuni frangenti della sua storia e della sua contemporaneità, una Parigi concreta mai in vendita e una Marsiglia dall’aria salina, schietta come una bouillabaisse annaffiata con pastis indossando una giacchi kaki nei suoi periodi peggiori. Per gli amanti del nero, del noir, del giallo canarino e dell’ocra, è tempo di fermarsi momentaneamente e lasciarsi cadere in testa gli avvenimenti di una depilazione che avverrà solo parzialmente e mai per volere di Lazzaro e Pilar. L’autunno è alle porte, non facciamolo attendere. Lazzaro attende Pogo il Dritto e De Sade sotto le stelle. Sotto il dehors di una Milano da leggere.
Francesco Marotta