Éric Zemmour non ha santi in paradiso. In Francia va in scena la caccia grossa, reclamizzata dai maitre à pensée della speranza e della libertà di espressione, monodirezionale. Un ultimo tentativo ed un rimedio alla dannazione ereditata dalla concezione di Esiodo: i mali che attanagliano l’uomo, la vecchiaia, la gelosia, la malattia, la pazzia ed il vizio che sgorgavano copiosi da un vaso per mano di Pandora, sono liberi e si fanno beffa di coloro che nutrono fiducia che possa accadere o sia accaduto, quanto si desidera. Chi ha sempre vissuto sperando, addita ad altri le proprie colpe.
Il saggista e giornalista de Le Figaro lo sa bene e non ripone, nessuna fiducia, nella tecnica dell’estasi mediatica, piazzista, di chi spera e impone un fioretto natalizio dai modi gentili. Viziata da una metodologia che contemporaneamente, fa uso delle correzioni che ha apportato alla Scienza del diritto e all’analisi del linguaggio. Èric, ora, deve vedersela con il Tribunale correzionale di Parigi che è stato chiamato in causa dalle due associazioni della “Speranza” Sos racisme e la Licra, il volto e la prova della comistione, dell’affrancamento e del “ri(s)catto sociale”, avvinghiate indissolubilmente al Parti Socialiste Français.
E, in particolar modo, all’uso sconsiderato di uno strumento punitivo di controllo e di tortura che difende, a spada tratta, la libertà e la satira del diversamente identico ed omogeneo “popolo della giustizia”, presente nei gangli della carta stampata e del Diritto; ingigantitosi dalle ceneri dei fatti di Charlie Hebdo, è riuscito ad ottenere maggior vigore e un nulla osta particolare: quello di chi tace e acconsente, accreditando, senza condizioni, l’uso della condanna. E questo non bisogna dimenticarlo. L’autore di Le Premier sexe (L’uomo maschio, Denoël, 2006) e di Le Suicide français (Il suicidio francese, Albin Michel, 2014), è stato condannato per istigazione all’odio contro i mussulmani, per alcune dichiarazioni rilasciate in un’intervista al Corriere della Sera il 30 ottobre 2014.
È colpevole perché ha espresso quello che pensa sull’islamismo radicale salafita e le problematiche sull’immigrazione europea ad esso correlate: “Vivono tra di loro, nelle banlieue i francesi sono obbligati ad andarsene”. Nel corso dell’intervista che si puó ancora leggere sul sito www.corriere.it, nella sezione Archivio storico dal titolo “Il successo di Zemmour, l’arrabbiato anti-élite «La Francia si è suicidata»”, ha dimostrato di avere il coraggio delle proprie idee, senza prestare i fianchi alla boutade della Sinistra progressista e della Destra liberale. Non ci sono sassolini nella scarpa ed è meglio fugare ogni dubbio: “Penso che ci stiamo dirigendo verso il caos. Questa situazione di popolo nel popolo, dei musulmani nel popolo francese, ci porterà alla guerra civile. Milioni di persone vivono qui in Francia, ma non vogliono vivere alla francese”.
Di fronte ad un tale affronto, le due consorelle dell’ordine della «Speranza liberal and inclusive», non si sono fatte attendere e hanno pensato bene di citare in giudizio Zemmour, che dovrà pagare una multa di 3.000 euro per istigazione all’odio contro i mussulmani. E in aggiunta, come se non bastasse questo, sottostare ad un possibile ma già in essere, ridimensionamento preventivo, da parte delle due emittenti televisive Paris Première e Rtl con cui collabora. Le quali, a proposito della gestione delle èlite (i due tavoli che decidono il palinsesto dei network sono in mano alla gauche), non avranno gradito, in particolar modo, uno dei suoi passaggi dell’intervista sulla responsabilità oggettiva delle lobby auto-nominate: «negli ultimi quarantanni hanno agito secondo le tre D: derisione, de-costruzione, distruzione della Francia, in nome dei grandi ideali, ovvero l’Europa, l’apertura al mondo, il progresso».
Monsieur Zemmour è un proscritto che non interessa alla Destra liberale perché è contro i suoi principi. È osteggiato dalla Sinistra al caviale, perché scuote con le sue dichiarazioni i meccanismi del business dell’immigrazione che in Italia, come abbiamo visto, hanno trovato il perfetto “brodo di coltura”. Non piace neppure ai centristi e ai democratici di ogni risma, in quanto è secondo loro, l’esatta copia di Dieudonné:quella di due estremi che si toccano. Possiamo dire che in tutte e tre i casi, l’ultima parola su chi deve sedere sulla graticola, come ha scritto giustamente Jean-Claude Michéa nel suo la La doublè pensée (Flammarion,Paris 2008) e ampiamente approfondito nel saggio di Charles Robin, La sinistra del capitale e dell’alta finanza(Controcorrente, 2015), spetta solo alla «filosofia liberale».
Michéa ne tratteggia la duplicità della sua forma: quella politica e culturale che si rifà a Benjamin Constant e a John Stuart Mill, quella economica, più vicina invece alle idee di Adam Smith e di Frédéric Bastiat. È evidente che Èric Zimmour, ha assaggiato suo malgrado le due tipologie di liberalismo descritteci da JCM. Verificando, personalmente con l’autore, quanto «questi due liberalismi costituiscono, in realtà, le due versioni parallele e complementari di una stessa logica intellettuale e storica». E allora, godiamoci fino in fondo, l’arroganza del totalitarismo più impegnato di tutti i tempi. Sotto a chi tocca…
Francesco Marotta