Il caso Bretone e monsieur Hollande: una danza per l’Europa da Brest a Roma

La Bretagna esplode e con lei un intero malcontento generalizzato. I suoi 2700 km di coste che unificano il fato delle genti dell’Armor, le “terre sul mare”, differentemente dall’Argoat, le “terre dei boschi”, echeggiano in un coro unico: la Parigi del capitano di sventure Hollande, non è la Bretagna e neppure la Francia. E poco importa, se il bretone parlato a Ovest, nel tratto regionale di Saint-Brieuc-Vannes è di diversa derivazione dai cartelli in lingua galla in uso nella Haute Bretagne (Alta Bretagna). Terminate le rivolte dei «piccioni» e dei «pulcini» e il successivo avvio, pur faticoso delle attività imprenditoriali coalizzatesi per l’occasione, riuscendo in seguito ad ottenere in buona parte il ritiro dell’aumento delle imposte, le giornate campali bretoni, tinte dai “berretti rossi”, potrebbero essere soggette all’intensificazione dell’anti-europeismo spinto dalla Troika.

Il popolo bretone e i suoi canti millenari dell’identità europea da Rennes a Brest, si ribella solo alla potenza ricreativa di Bruxelles? Se non fosse per il pugno in un occhio assestato dal colore dei berretti, sembrerebbe così. Invece, da una piccola protesta scaturita da una singola categoria, spinta dall’aumento delle tasse sui prodotti agricoli, ad uscirne sconfitto è il semi-presidenzialismo francese alla Monsieur Hollande. Senza dubbi, il portatore sano di una tracotanza irriverente e di una Francia in crisi; colpita al cuore, la dove il “Ciclo Bretone” tipico della trasmissione di memorie orali dei popoli celtici della Bretagna insulare e peninsulare, sanguina oltre misura. Ad esserne trafitte, non sono solo le opere dei celebri autori e poeti della seconda metà e della fine del 12º secolo come Chrétien de Troyes, Béroul e Thomas. La Francia di François Hollande, sin dall’inizio della sua scalata all’Eliseo, ad appena soli 17 giorni dal suo insediamento, dedicò buona parte del suo tempo all’irrimediabile.

L’ennesimo muro da edificare a discapito delle autonomie linguistiche, culturali, d’Europa, avviando la manovra di governo che doveva, secondo le “buone intenzioni” del socialista all’Eliseo, riportare sotto il 3% il deficit pubblico. Una missione rilevatasi a lungo andare una verità iniqua: come la legge finanziaria varata da un contrassegno draconiano che vieta lo sconto dei libri superiore del 5% e che da vero chansonnierdel collettivismo interfinanziario, pensando bene di aumentare l’Iva, cumulandola complessivamente a 6 miliardi a danno delle imprese e dei lavoratori che subiranno un sovraccarico di miliardi di eur; Le Capitaine Fracasse tace. Nelle acque di Brest ha importato la stessa energia (tecnocrate-profittatrice) generata dalle correnti secche di una Senna in crisi di personalità?

A stimolo della fierezza bretone e di una discesa in piazza in opposizione anche all’inasprimento della tassazione sulle pensioni e della prossima serie di aumenti fiscali in fase di attuazione sulle proprietà e che a breve, verranno sottoposte a controllo dei valori catastali, all’unico scopo di aumentare la base imponibile; per raggiungere una tassazione incrociata (spietata) di più case, terreni e proprietà, le politiche di Parigi sono la luce riflessa di una componente dell’UE. Dedita alla tecnocrazia centralizzata presente in quella che può sembrare una trascurabile parte ma, ampiamente decisionale all’interno sia del Ppe (Partito Popolare Europeo) sia del Pse (Partito Socialista Europeo). La stessa di cui François Hollande è uno dei maggiori interpreti.

La situazione in Bretagna e nel resto della Francia, peggiora vertiginosamente: “l’immaginazione e l’arte” del tassare parigino ha causato la chiusura di centinaia di aziende e l’impennata della disoccupazione sopra l’11,1%, legate a doppio filo alla spirale in discesa libera della flessione negativa con scadenza settimanale. Volendo percepire a pieno la gravità di una situazione che investe tutta l’Europa e ha un ampio eco che va dalla Bretagna e dalla Francia, a quella italiana. Escludendo a priori improbabili balli dell’antica civiltà bretone, senza indossare per l’occasione i berretti “incriminati”, come nelle danze che si ballavano in un cerchio chiuso, una su tutte e la più conosciuta, l’An dro, è forse necessario munirsi di buon senso. Via i berretti, la sostanza non cambia. L’Europa e le sue genti non si piegano.

Francesco Marotta

 

 

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