Il corsaro nero. La biografia di Henry de Monfreid, l’ultimo avventuriero

I paesaggi e l’armonia delle tinte dei quadri di Gauguin, il tratto innaturale che ghermiva la realtà pittorica, evocando con un colpo di pennello il richiamo alla natura e alla finezza dei suoi elementi, non sono andati perduti. Il calderone dell’assurdità e delle sincronie accademiche da presentazioni letterarie, che accomunano l’uscita della maggior parte delle pubblicazioni, non sfiorano minimamente l’ispirazione e il talento di Stenio Solinas. Ad emergere è l’essenza del viaggiatore, ponendosi al di fuori della consueta fase di decostruzione delLogòs che gli uomini moderni hanno personificato nella sua interezza, vive in un libro e nella vita di un filibustiere per vocazione: “Il corsaro nero Henry de Monfreid, l’ultimo avventuriero” nei suoi giorni deprecabili e affascinanti, trascorsi nell’intento di ridimensionare l’astrattezza mentale e la concretezza pragmatica, ad inutili postulati superflui.

Un’adorabile canaglia dalla personalità indipendente, dall’arguzia sopraffina, libera da ogni accomodamento e utilitarismo, che ha messo a segno una prima provocazione letteraria. Ricorrendo alla penna di Solinas e alla sua capacità di sbalordire il lettore con le sue sensazioni empatiche, sembra essere riuscito a spingersi dove non era mai riuscito in vita: nell’inusuale abbordaggio della sua incredibile esistenza, rispecchiando alla sua maniera, il temperamento di due secoli (1879-1974), dritto al cuore delle nostre librerie di fiducia. Una rarità eccezionale in Italia, da leggere respingendo le tante e tenaci pregiudiziali che ognuno di noi serba dentro, successive ad una lettura inedita a quarantuno anni dalla sua scomparsa. Soprattutto, verso quei luoghi remoti e quei mari ostili della terra, anteponendo dopo averli visitati anche solo nell’immaginario, l’affermazione del corollario della nostra esistenza, dall’andatura dondolante. Sempre pronta alla ricerca di improbabili passi “carovanali” che fungono da ponte per un’epoca quale è stata il Novecento, riproposta come uno splendido amarcord, fuori tempo massimo.

Nulla cui vedere con le intuizioni e “l’esistenza autentica” riscontrabile nelle disamine di Martin Heidegger e in minima parte nell’esotismo chic e nel “dandismo” arabeggiante di Henry Monfreid. Parecchio invece, nella sua volontà di cedere al fascino di un’impresa rischiosa, posta come attributo distintivo del suo carattere e riuscendo, caparbiamente, a serbarne il principio fondamentale di un esercizio/atteggiamento nella pratica quotidiana: la progettualità e la libertà assoluta nelle scelte, pur essendo conscio che non può non esistere una linea del tramonto e una vita infinita per l’avventuriero, il trafficante d’armi, il donnaiolo impenitente e il pirata in rivolta, raccontatoci da Stenio.

Quella di Monfreid, è una propensione connaturale che non è comune a molti e per la quale, senza di essa, non avrebbe mai avuto modo di esistere la sua leggenda e il suo stile di vita ; i suoi traffici e le sue scorribande piratesche, architettate nella sua personalissima Tortuga del Corno d’Africa coloniale a capo dei suoi Fratelli della Costa , avrebbero rapidamente assunto alcuni dei tratti deteriori, di una celebrazione dei paradossi e delle stravaganze di un uomo.

Probabilmente, uno dei crucci scongiurati da Solinas nella stesura del libro, dove è risposta tutta la passione di un giornalista e di uno scrittore di razza, che avvalendosi di documenti di archivio e setacciando con minuziosa accuratezza quel lembo d’Africa che ha visto le gesta di Monfreid, superandosi è andato persino oltre ad una fase di ricerca: scomponendo e ricreando le atmosfere di un periodo, la figura unica di un personaggio inimitabile.

Se vogliamo, la narrazione delle gesta e la sfrontatezza di un uomo, capace di equilibrismi al limite dell’assurdità nel “tenere il piede in due scarpe”, assumendo un punto di vista metastorico, finalizzato all’immediato e alla sua Tortuga; districandosi a piacimento con gli intrighi e le trame sottili del processo di civilizzazione inglese e la contro-egemonia, altezzosa e insolente, degli obbiettivi francesi. Ed ecco l’entusiasmo nel seguire assieme a Stenio, le orme dell’ultimo avventuriero europeo e quanto lui, vista la particolarità del personaggio, consci dell’evidenza di una lettura con il vento in poppa e con un possibile naufragio, dietro l’angolo. Sicuri che è possibile scrivere solo vivendo, che si può vivere scrivendo la vita che si è scelti, facendo sul serio ed escludendo ogni timore.

Navigando a vista sulle tracce di Henry, dal Mar Rosso al Madagascar, spingendoci fino alle Indie, da Gibuti a Obock, sino ad udire le voci e le sensazioni dei Pow italiani nei campi di prigionia inglesi. Immergendoci ritmicamente nella terra che Monfreid ha adottato senza mai snaturare se stesso, sfiorando le pendici del Kilimangiaro e l’irrequietezza che lo tormentava, durante la prigionia. Un’esperienza imposta al lupo di mare di Leucate, ritratta e rievocata nell’incapacità di esaminare gli stravolgimenti e le pulsioni, i costumi e le storture, del Secolo corrente.

Francesco Marotta

 

 Stenio Solinas

 Il Corsaro Nero. Henry de Monfreid, l’ultimo avventuriero

 Editore Neri Pozza, Collana il Cammello Battriano, 10/09/2015.

 Ppgg. 304 – € 17.00

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