Critica della ragion tecnica
Non bisogna cadere nell’errore interpretativo per cui la tecnica non è né buona né cattiva e che l’efficacia o gli svantaggi dipendano da come la si utilizzi. La tecnica ci domina. Non necessita di alcun principio etico, e tantomeno della politica, perché rappresenta la forma più evoluta di totalitarismo. Non produce caos ma ordine. Pronta a colonizzare, grazie anche al capitalismo, ogni ambiente e a diventare fattore regolativo della intera esistenza sociale e individuale.
Umanità al tramonto. Critica della ragion tecnica
In passato, ogni tipo di strumento consentiva di realizzare solo taluni scopi, anche se con il possesso ci si garantiva il potere; nel corso del tempo – lo ha spiegato bene Emanuele Severino – la scienza ha consentito di amplificarne la potenza facendo in modo che se ne creassero sempre di nuovi e più efficaci. Tuttavia non sapremmo che farcene della proliferazione degli strumenti se, al contempo, insieme all’aumento vertiginoso del loro numero e della loro potenza, non vi fosse un sistema politico, giuridico, economico, industriale o sanitario che non si riconfigurasse continuamente intorno a essi; se cioè non vi fosse una sorta di mega-apparato in grado, nelle società avanzate, di accrescere indefinitamente la potenza e di ricreare sempre nuovi fini, i quali coincidono con la potenza stessa dell’apparato.
Ed è proprio per queste ragioni che tutto diventa funzionale all’interno di una ragion tecnica che giustifica ogni mutazione e ci rende strumenti di un meccanismo; ingranaggi anonimi e spersonalizzati che garantiscono l’applicabilità delle funzioni. E allora, una volta riconosciuta la centralità e la pervasività di tale questione, non c’è da meravigliarsi se la socialità in ogni sua declinazione non l’avvertiamo più come necessaria, tanto che alla politica, cioè alla più alta dimensione costitutiva dello stare insieme, abbiamo sostituito la burocrazia, la quale costituisce una anomalia permanente; né susciti stupore il fatto che lo spaesamento sia diventato destino planetario, correlato a una accresciuta consapevolezza di un mondo in disfacimento dove si fronteggiano e, pur tuttavia, si completano (e quindi si implementano reciprocamente) la distruzione delle culture, delle tradizioni e i “cantieri del nuovo” che fanno dell’organizzazione pianificata e dellamobilitazione totale il nuovo scopo. Come mai accaduto nella storia, l’estensione di possibilità tecnologiche ha infatti una fortissima influenza sulla persuasione collettiva perchè muove da un’idea di emancipazione. Baudrillard ci aveva avvertito da tempo manifestando preoccupazioni rispetto all’iperealtà, nuova dimensione prodotta in special modo dalla comunicazione elettronica, grazie alla quale ci si espone al rischio di annullare la differenza tra mondo reale e immagine mediata, cosicché i fatti, nella loro essenzialità, non raramente possono essere sostituiti da un’artefatta simulazione dei media e da un nuovo livello simbolico. Umanità al tramonto: è questo il destino che ci aspetta?
Fonte: http://www.ipocpres.it