L’imputazione a carico di Ezra Weston Loomis Pound per alto tradimento e un processo in nome dell’ipocrisia puritana, condannarono il Poeta ad un’estenuante soggiorno forzato al St. Elizabeths Hospital di Washington. Dodici anni di menzogne, concentrate in un periodo cui Pound, ne uscì stremato: fortificando l’interesse e la ricerca continua del superamento convenzionale dell’«Io» e degli automatismi di preservazione dell’individualità e del «realismo materialista». L’apologia del reale, presente in ogni ismo e nei ritagli peggiori del verismo positivista del XX Secolo, si apprestavano a ninnarsi nel crogiolo tardo novecentesco; raffigurando per “l’alienato” da condannare in contumacia, un’ottima occasione, forzata, per indagare e vivere il «Sé», e, l’essenza dell’essere, superando la concezione/reticolato di una sola ed ultima sensibilità della persona.
Miro Renzaglia, Direttore del magazine on-line “il Fondo” (www.mirorenzaglia.org), autore, saggista, critico letterario e di costume, apre il suo lavoro con un prologo poetico. Ed è proprio questa sua inclinazione artistico-letteraria priva di stringatezze concettuali, a rendere il suo “La parola a Ezra Pound e altre maschere d’autore” edito da Circolo Proudhon Edizioni, un colloquio con il lettore; un invito a superare le barriere ideali e l’isolamento narcisistico di un tête-à-tête basato, unicamente, sulle proprie convinzioni. E’ un invito il suo, da esperto conoscitore delle rappresentazioni teatrali e degli interpreti dello spettacolo, a focalizzare l’attenzione sul concetto di persone e di teatro, sulle “maschere”di Pirandello. La sua è una sfida a fare un ulteriore sforzo più in là, del narratore e drammaturgo siciliano.
E cosa c’e’ di meglio se non riformulare La società dello spettacolo ampiamente dibattuta da Guy Debord e, l’esatta sceneggiatura di una società, abituata ad essere la protagonista principale di uno psicodramma che, auto-genera irrimediabilmente una combinazione cognitiva, tecnico e scientifica, dello spettatore che diventa attore; fino al ripetersi in un ciclo indeterminato. L’intento di Renzaglia, è uscire fuori dagli schemi. Potrebbe anche darsi? A noi, non interessa. Anzi, senza alcun dubbio, l’autore ha tutto il merito di esprimere un giudizio che discerne da una lettura dell’opera “debordiana” e non, riportando al lettore una sua interpretazione: «In teatro, quando questo diaframma viene infranto, e lo spettatore come comparsa o co-protagonista nella messa in scena, non si parla più di spettacolo ma di psicodramma».
L’opera di Renzaglia pone dei validissimi punti d’appoggio che sembrano ammiccare al “Teatro dell’assurdo” di Eugène Ionesco e Samuel Beckett. Salvo però, immergersi senza mai giungere ad un accordo di massima, con i sillogismi di Lewis Carroll e con le «28 maschere d’autore» presenti nel libro ed i loro convincimenti. Spiccano su tutte, le interviste immaginarie e le visioni oniriche di Carmelo Bene e di Nicola Bombacci, il nichilismo interpretativo di Diabolik, l’indole zarathustriana e il «superamento» del nichilismo di Jim Morrison ( inesistente nell’idolatria convulsa dei suoi fans), l’anticomunismo (?) di Enrico Berlinguer tutto da discutere, le poesie di Ettore Petrolini e di Fulvio Abbate, l’anarchico Cèline e il fascista diversamente di Destra, Hemingway.
E, a proposito dell’«Io» che ai tempi nostri vale più di tutto il resto ? Nel libro, c’e’ spazio anche per quello e per la rivolta “evoliana” che non è mai stata ribellione: riscontrabile secondo Renzaglia nel periodo artistico di Evola ma, poco invece, nella scrittura. L’autore, tra una disamina dei trascorsi di Berto Ricci, Carlo Michelstaedter, Pier Paolo Pasolini e Montanelli, identifica senza indugi l’agitazione della Repubblica di Platone e la sua deriva cartesiana, come uno dei segni distintivi dei critici e degli esperti della letteratura; spinti, da un bisogno accademico della “normatività” di cosa è bene e di cosa è male. Una riduzione a schema che all’autore di «La parola a Ezra Pound», sembra essere e non a torto, l’accreditamento che certifica il relativismo e la disistima, verso un passato ed una personalità. Tutte le altre maschere d’autore presenti nel testo e il motivo conduttore che li distingue, contemplano la libertà di approfondire la conoscenza di sé stessi, senza fermarsi al solo tratto principale, vivendo nuovamente nella prosa riecheggiante dei due Cantos (XLV “Con l’Usura” e il LXXIII) del Poeta nato a Hailey, nello Stato dell’Idaho, solo sulla carta.
Evocando Dionisio e intonando un ditirambo che sta nelle corde della genialità dei “folli”, il saggio di M.Renzaglia è una chiamata alla vita che è anche tragedia, deliziando e affrancandosi dalla carne, dalla mente e dallo spirito. Continuando assieme ai protagonisti del libro a tradire quella parte che induce, all’eterna festa chiassosa e al vanto di un’integrità imprendibile che ci avvolge, tornando a divorarci; scoprendoci fascisti, comunisti, socialisti ed anarchici irredentisti e chicchessia, proprio per questo, inseguendo in compagnia di F. Pessoa l’Altrove, per ritrovare l’esatta natura. E’ un libro da leggere: evitando di perdersi tra coloro che si fanno chiamare per nome da chi neppure si è mai conosciuto.
Fate spazio in libreria ad un saggio che si narra nella complessità di chi lo legge. Non capita tutti i giorni di scoprire, piacevolmente un Miro Renzaglia, votato alla filosofia. Un saggio da leggere e capace di fare riflettere… Ne vale davvero la pena.
Miro Renzaglia
La parola a Ezra Pound e altre maschere d’autore
Circolo Proudhon Edizioni, http://www.circoloproudhon.it, anno 2016
Ppgg. 183 – € 13.50
Fonte: Destra.it, Francesco Marotta, 15 maggio 2016