L’onda lunga del liberalismo? Ha i giorni contati. La politica, caro Parisi, è ben altra cosa

 

La politica é al centro dell’attenzione mediatica ma, lo é in maniera sempre più limitata per la maggior parte degli italiani. Lo dimostra, la percentuale degli aventi diritto al voto per il referendum sulle trivelle che non ha superato il 32,15% e le ultime Elezioni Comunali, che hanno sancito la caduta libera del richiamo alle urne. Una previsione scontata che ha però superato ogni ipotesi negativa: a Milano si sono recati alle urne solo il 42,43% dei cittadini, Roma non ha superato la soglia del 39,39%, Torino si é fermata al 41,31%, Cagliari al 40,16%, Reggio Calabria non é andata oltre un risicato 42,97% e a Bologna, la città che é andata meglio (?), la percentuale definitiva é del 46,44%.

Ma questi dati, interessano parecchio alle rappresentanze politiche ? Ma soprattutto, addentrandoci in un’analisi della struttura politica attuale, possiamo ancora scorgere un nesso politico, nonostante le insipienze che attanagliano la politica? Andiamo per gradi. Bisognerebbe argomentare, pur non condividendo in toto quanto scritto dal filosofo Roberto Esposito nel suo Oltre la politica: antologia del pensiero “impolitico”. Tanto invece, su quello sguardo e il modo di guardare la politica del suo “impolitico”, «perché in qualche modo esso prende corpo proprio in opposizione alla categoria di rappresentazione».

Ovvero, prima di capire la politica, le sue vicissitudini e la visione contraddistinta di chi si rifà ad una potenza rappresentativa che risiede anche al di fuori di essa, e , per dirlo con Simone Weil ad «un’idolatria», modellata quasi esclusivamente sull’immissione a getto continuo dell’«illimitato in un ambito essenzialmente limitato qual è anche la pratica del governo, va da sé che i dati negativi non possano influire sulla fascia di cittadini che si auto elegge ormai da tanti anni.

In quanto al nesso politico, che persino i meno accorti, vedono adombrato dall’intensificazione della spoliticizzazione, la convention di Parisi a Milano né è la riprova. Le parole d’ordine usate, che si rifanno ad un’ipotetica “alternativa alla sinistra” e all’immancabile «Unità» di intenti, condite dal “grande manifesto liberale” e dal richiamo strumentale a «ragionare in modo nuovo sul liberalismo», quale fosse un’ottima strategia di contrattazione e negoziazione per chiudere un buon affare nell’interesse di tutti (sempre quello di pochi ma dotti amici), denotano un tema politico ricorrente che va oltre l’ex bipolarismo.

Dunque pare proprio che per sciogliere il vincolo della politica assoggettata al liberalismo, occorra misurarsi e prestare attenzione alle insidie di un linguaggio calato dall’alto. La risposta degli italiani, che poi corrisponde a quella di mezza Europa, la débâcle in Germania del duopolio Spd-Cdu con il peggior risultato di sempre, l’ascesa dei “populisti” dell’Afd che lo hanno capito sin dagli esordi, nonostante fossero bollati come ignoranti e strilloni, avvalorano a tal proposito la tesi di Elias Canetti sull’uso del linguaggio come “produzione del dominio”: «Il potere nel suo aspetto più violento, mortifero, non soltanto invade da ogni lato il linguaggio del mondo, ma arriva a coincidere integralmente con esso».

Sebbene i “ministri del culto” liberali, facciano di tutto per nascondere l’evidenza dietro la “novità” di un passato che si dice sfavillante, questa è un’ottima notizia perché sono consci che le loro verità, incominciano ad inclinarsi. E questo, non é solo un dato politico perché in politica e nella morale, non esiste un qualcosa che é simile all’ubbidienza: figuriamoci poi a dei “teologi del produttivismo” e delle “libertà rilevate”, intenti a garantirsi una gestione manageriale ed una direzione amministrativa, applicate alla politica.

 In conclusione, quei profili vaticinanti senza una «mistica» del sacrificio che evitano come la peste il compromesso, la generosità, il donarsi per il bene della propria gente, votati solo alla propria individualità, hanno i giorni contati. E non sarà certo, una conferenza di marketing che nulla ha che fare con la politica e con il comune interesse, a rallentarne il declino. Comunque, siamo certi che non passerà inosservata a tanti. Come mai? Tanto si sa che alla fine, saranno in molti a seguire la regola che al debitore va sommato l’interesse. E’ il liberalismo, bellezza. Per meglio dire, quello che ne rimane…

(Fonte: http://www.destra.it, Francesco Marotta, 19/09/2016)

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