La tendenza dell’informazione e della comunicazione post-moderna e’al capolinea. L’unica ad non “accorgersene” è una parte della politica.

 

Siamo invasi da milioni di input e notizie provenienti da un leggio e da più spartiti che ci raccontano dei fatti e delle informazioni, imbrigliate da una canalizzazione mediatica senza precedenti. In tutto questo cosa c’entra il «Pensiero Unico», citato ogni volta che bisogna spiegare la mancanza dell’obiettività di chi fa informazione ? Andiamo per gradi: focalizzando le problematiche, lo sfondo, cosa c’è dietro ed i temi trattati di chi si occupa di informarci “correttamente”.

Dagli inizi degli anni ‘80, diciamo per essere più precisi a partire dal 1978-1979 in poi, la comunicazione salta dal concorde della diffusione radio, inoltrandosi compiutamente nell’era della diffusione televisiva per poi approdare poco più in là “alla rete di grandezza mondiale”, comunemente conosciuta come il «Web»; perfezionata dal ricercatore del CERN Tim Berners-Lee e dal suo collega Robert Cailliau.

In quella che è stata una progressiva ascesa della comunicazione di massa che andava a pari passo con la nascita delle nuove tecnologie, in un ambito smanioso di espandere la leggibilità, l’ascolto e la visione, non immuni dalla capitalizzazione di impronta privatistica e dalle élite para-statali (leggasi politiche), la comunicatività parecchio frammentata della prima metà del ‘900 mutò di colpo, seguendo il rigido sovraffollamento dei mezzi di comunicazione.

Era finito un periodo di gestazione che spalancò le porte alla sperimentazione tecnico-scientifica del settore, puntando tutto sulla commercializzazione dei mezzi di comunicazione e di informazione, dell’analogico, della digitalizzazione e dei satelliti, di internet e delle ITC moderne. Dalle ceneri di quello che era ampiamente riconosciuto come un «servizio pubblico», non sempre accessibile a tutti anche a causa dell’elevato analfabetismo (l’Italia, purtroppo, superava ogni aspettativa), l’Europa passò tutto d’un tratto ad un «servizio universale» ad uso e consumo.

Scompariva definitivamente, l’informazione fine a se stessa e la comunicazione con il fine di informare, immersa nella stratosferica offerta dei brand radio-televisi, delle cordate dei quotidiani e della settorizzazione schematica implementata dalle mappature del networking e del riposizionamento dei marchi pubblicitari; seguendo all’unisono, le fasce di ascolto dei potenziali acquirenti.

Ed è così che crebbe il numero di notizie veicolate per un pubblico specifico, per un consumo facilmente assimilabile e gestito con l’utilizzo di un linguaggio indirizzato e di una scrittura “realisticamente” impressionabile ma, pur sempre priva per l’ascoltatore ed il lettore, della conoscenza. È inutile ricordare quanto la politica abbia di suo provato e spesso riuscendoci, a costruire un consenso, utilizzando il linguaggio dei nuovi mezzi di comunicazione.

La rivoluzione liberticida e la neo-lingua del berlusconismo era trasversale se non contagiosa ? Possiamo dire che mieteva più vittime tra coloro che se ne discostarono: fungendo da tramite con un linguaggio politico sconosciuto prima di allora in Italia e da talk show americano, implementando de facto l’utilizzo di un modello da seguire alla politica italiana.

E visto poi i risultati ottenuti dal “califfo” di Arcore, la politica italiana pensò bene di cedere volentieri all’assimilazione e all’eloquenza del nuovo tipo di fraseologia, distaccandosi dal proprio punto di riferimento antropologico che come tutti sappiamo, corrisponde all’impegno per il bene di tutta una comunità e mai, alla celebrazione politica dei singoli e agli interessi economici.

Insomma, Per dirla con Edoardo Novelli, citando il titolo di un suo libro pubblicato nel 1995 per l’editore Nuova Italia, la partitocrazia virò decisamente Dalla televisione di partito al partito della televisione.

Scegliete pure voi quale tra le due opzioni sia stata ed è la peggiore: rimanendo sempre in attesa di qualcuno che riesca a comprendere un’era, conclusasi nel peggiore dei modi e magari d’accordo con il sostenere che il sensazionalismo del linguaggio politico, giornalistico e dell’informazione del post-modernismo, sia giunto ai titoli di coda. Consapevoli che questa “novità” da fastidio ed è scomoda, perché mette in luce tutto quello che i media mainstream e la ragion di stato non dicono.

Ed è per questa motivazione che stiamo assistendo ad una campagna denigratoria senza precedenti, spinta dalla faziosità della maggioranza dei partiti italiani e degli scribi asserviti alla “normalizzazione” dell’informazione ( sai che guaio se perdono la visibilità ed il monopolio ! ), notando con piacere la proliferazione di siti e riviste “irriverenti”, che se ne fregano delle regole per nulla tacite della comunicazione e del codice di riconoscimento linguistico cui siamo tempestati ogni secondo.

Senza curarsi dei mezzi di comunicazione che sono diventati il luogo dello scontro politico, dove la contrapposizione serve solo per legittimarsi reciprocamente, sebbene siano pure il cortile domestico dei gruppi di pressione del Capitalismo apolide che tra l’altro, impone i suoi modelli interpretativi sugli eventi riferiti dai notiziari e dalle tv, quel fiorire su internet di siti e riviste che mettono a nudo le imposture del «produttivismo» mediatico, devono essere ad ogni costo zittiti.

Ed ecco un motivo in più, per non cadere nel tranello della “macelleria messicana” in corso che ci indica la pericolosità della rete. Lo sappiamo, sembra un controsenso ma figurarsi poi, se il consiglio ci viene dato da coloro che ne hanno fatto un caposaldo e la veicolarizzazione dei messaggi per decenni… Non tutto il web è aria fritta e non tutta la carta stampata è una discarica di articoli scandalistici: alcuni direbbero che basta leggere ed ascoltare quello che il Sistema massmediatico bistratta in continuazione. A volte, purché ci sia la volontà di farsi una propria opinione, riscoprendo quel senso critico che viene falsamente copiato, da chi ci racconta le “buone novelle”.

 

(Fonte: http://www.destra.it, Francesco Marotta, titolo “La comunicazione post-moderna è al capolinea. Ma la politica non lo sa”, 18 gennaio 2017)

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