Geoeconomia/ L’Europa ha bisogno d’energia. Il ruolo dell’Italia e il gasdotto Trans-Adriatico

 

Le sanzioni dell’Unione Europea combinate alla Russia in risposta all’affaire della crisi Ucraina, giuste o sbagliate che siano, hanno innescato un processo di approvvigionamento per le energie utili al fabbisogno europeo, celere e diversificato. Raffreddatosi il progetto del gasdotto “South Stream” — e tenendo presente che la maggioranza dei consumi energetici europei (55%) è di importazione, con tutto ciò che ne consegue da una dipendenza vera e propria (solo il 33% è di produzione interna)— , una soluzione alternativa andava cercata. Anche perché dalla Russia, giungevano nel Vecchio Continente, circa il 27% del fabbisogno europeo, quantificabile in 462 miliardi di metri cubi (bcm): verificando poi, i dati al ribasso dell’anno 2013, possiamo dedurre quanto sia in salita la necessità di approvvigionamento. Insomma, “l’Orso Russo” è importante ma per Bruxelles, le urgenze per far si che l’ingranaggio non si blocchi, lo sono ancor di più.

Una delle opzioni realizzabile è il Gasdotto Trans-Adriatico (TAP, acronimo di Trans-Adriatic Pipeline), che trasporterà in Europa il gas naturale estratto dal Mar Caspio; auspicabile e necessaria. E per quello che riguarda l’Italia? Le difficoltà politiche che, ad oggi, non permettono soluzioni adeguate per un dialogo lungimirante con il Nord Africa, contemplando lo sfaldamento libico ed il nostro doppiogiochismo… E’ meglio soprassedere. Basti pensare che il 9% di gas in Europa arriva da lì e che abbiamo deciso di abdicare, senza batter ciglio, ad un ruolo geostrategico, concedendo ad altri Paesi come la Francia e l’Inghilterra di “sostenere il peso”, della nostra mancata presenza. Quando la politica cede il passo agli interessi intercambiabili, possiamo ritenerci “fortunati”. Tornando a cose molto più importanti, perché se è vero che Bruxelles commette degli errori stratosferici, essendo come sappiamo un coacervo di interessi e rivendicazioni dei singoli, un’unione mai politicamente realizzata per le motivazioni che ben conosciamo, il TAP che partirà dal confine greco e turco, segna l’inizio di un percorso molto importante. Non sembra vero ma, l’Italia, è in gioco.

Ad oggi sappiamo che TAP si collegherà al “Trans Anatolian Pipeline” (TANAP), percorrendo la regione settentrionale della Grecia, passando dall’Albania sino al Mar Adriatico, raggiungendo il Salento e collegandosi così, alla rete italiana e al resto d’Europa. Gli uffici esecutivi si trovano ad Atene, Roma e Tirana, mentre la sede amministrativa è a Baar, in Svizzera. La cordata societaria è composta dall’inglese BP, attiva nel settore energetico del petrolio e del gas (20%), dalla società energetica di stato dell’Azerbaigian SOCAR (20%), dall’italiana Snam (20%), dall’addetta del trasporto gas belga Fluxys (19%), dalla trasportatrice principale di gas naturale in Spagna Enagás (16%) e dal Gruppo svizzero Axpo che produce e vende energia (5%). Insomma, un gruppo assortito e variegato di multinazionali del settore.

In conclusione, visto che uno degli obbiettivi dell’azionariato TAP è «lavorare nel pieno rispetto dell’ambiente lungo il percorso del gasdotto», avendo cura della flora e della fauna dei tre stati che attraversa nel pieno rispetto dell’ambiente (nell’intero anno 2016 sono state effettuate delle indagini ecologiche), questo non può che rallegrarci. Naturalmente, con tutte le precauzioni del caso e senza troppo entusiasmo. Ma quello che è sotto la lente d’ingrandimento è l’operato di un’Europa che va avanti, anche se a stento, per la sua strada.

Chiusa una porta se ne apre un’altra ? Rimangono due punti interrogativi: la presenza nel progetto di una società inglese dopo la “Brexit” (le multinazionali non seguono le scelte politiche ma le dettano) e l’onere del dialogo con Mosca. Al di là dei tira e molla di quasi tutto il 2016, lo scenario politico va assestandosi su di un multipolarismo asimmetrico. Il tempo stringe inesorabilmente e il “Risiko” della corsa energetica è solo all’inizio: non contano i rapporti di parentela, serve energia.

Un domani vicino o lontano, scopriremo se questo non significhi essere soggetto o essere asserviti. Oppure, l’esatto opposto.

 

(Fonte: http://www.destra.it, Francesco Marotta, 1 febbraio 2017)

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