Saskia Sassen ci invita a riflettere su “Una sociologia della globalizzazione”

 

Ringrazio vivamente la professoressa Saskia Sassen, sociologa, economista, scrittrice e conferenziera, nonché docente alla Columbia University e alla London School of Economics,  autrice di molti scritti sulle dinamiche della globalizzazione, per la gentile concessione. Sotto trovate la Prefazione del saggio “Una sociologia della globalizzazione”, pubblicato da Einaudi per la Collana “Piccola Biblioteca Einaudi”, nel lontano 2008. Come avrete modo di constatare per i temi trattati, parecchio più vicino di quello che pensiamo. L’approccio di Saskia mi ha incuriosito particolarmente, perché è al di fuori dello schematismo teorico e analitico che coincide con le limitazioni ‘ideocentriche’ dei fenomeni globali. La sua è una chiave di lettura differente e che si presta benissimo ad essere discussa, anzi. Ragione per cui, questo vuole essere un invito a leggere il saggio, interamente. Ma soprattutto ad approfondire l’argomento.

 

Capitolo Primo

 

Introduzione

 

“[…] Processi trasnazionali quali la globalizzazione economica, politica e culturale lanciano una serie di sfide teoriche e metodologiche alle scienze sociali. Sfide derivate dal fatto che il globale, sia un’istituzione, un processo, una pratica di discorso, un elemento immaginario, trascende il quadro esclusivo degli stati nazionali ma risiede, nello stesso tempo, almeno in parte, in territori e istituzioni nazionali. In tale prospettiva, si tratta di qualcosa di più della nozione comune di crescente interdipendenza del mondo in generale e di formazione di istruzioni globali. Se il globale, come sostegno, risiede in parte nel nazionale, diventa evidente che la globalizzazione, nelle sue numerose e svariate forme, mette in discussione due assunti fondamentali delle scienze sociali. Primo, quello che dà per scontato, in forma più o meno esplicita, che lo stato-nazione, sia il contenitore del processo sociale. Secondo, quello che presuppone la corrispondenza tra nazionale e territorio nazionale, ossia: se un processo o una condizione sono localizzati in una istituzioni nazionale o in un territorio nazionale, allora devono essere nazionali. Entrambi questi assunti si riferiscono a condizioni persistenti, seppure non sempre totalmente, nella maggior parte della storia dello stato moderno, in particolare dopo la prima guerra mondiale; condizioni che, in certa misura, permangono. La differenza dell’oggi è che questo nesso si è in parte, ma effettivamente, dissolto. Diversa è inoltre la portata di tale  dissoluzione. Intendere la globalizzazione non soltanto in termini di interdipendenza e di istituzioni globali, ma anche come qualcosa che risiede nel nazionale, inaugura un ampio programma di ricerca che rimane ampiamente incompiuto.

L’assunto relativo allo stato-nazione quale contenitore del processo sociale continua a funzionare per molti oggetti di studio delle scienze sociali, consentendo agli studiosi l’elaborazione di metodi d’analisi efficaci e la raccolta dei necessari insiemi di dati. Metodi e dati poco utili, tuttavia, a chiarire un numero crescente di questioni relative alla globalizzazione è una vasta gamma di processi transnazionali che si sono presentati alla ricerca e alla teorizzazione delle scienze sociali. Né questi assunti sono d’aiuto allo sviluppo delle analisi necessarie. Metodi e quadri concettuali basati sull’assunto che lo stato-nazione è una unità chiusa e che lo stato esercita un’autorità esclusiva sul proprio territorio, non possono, pertanto, accogliere pienamente la premessa fondamentale intorno alla quale si organizza questo libro, ossia: il fatto che il processo o l’entità sia localizzata nel territorio di uno stato sovrano non significa necessariamente che sia nazionale o del tipo tradizionalmente autorizzato dallo stato (turisti stranieri, ambasciate, ecc.), potrebbe, infatti, essere una localizzazione del globale. Sebbene la maggior parte di tali entità e processi siano probabilmente nazionali, esiste una crescente esigenza di ricerca empirica per determinare lo status di ciò che costituisce, a sua volta, una gamma sempre più ampia di possibili esempi del globale. La maggior parte di ciò che oggi continuiamo a categorizzare come nazionale, potrebbe essere benissimo un esempio di questo tipo. Elaborare le specificazioni teoriche ed empiriche che ci consentano di accogliere queste condizioni non è facile e richiede uno sforzo collettivo.

Il presente libro si propone di contribuire a tale sforzo collettivo individuando un terreno analitico per lo studio della globalizzazione che faccia propria questa comprensione più complessa. Ciò richiede però che ci si spinga anche al di là delle forme di comprensione della globalizzazione che si concentrano unicamente sulla crescente interdipendenza e patente globalità delle istituzioni. Di conseguenza, parte del lavoro di ricerca richiede che si individui la presenza di tali dinamiche globalizzanti in ambienti sociali densi in cui s’intrecciano elementi nazionali e non nazionali. Questo inquadramento del globale consente l’impiego di numerose tecniche di ricerca e di insieme di dati delle scienze sociali, sviluppati avendo in testa scenari nazionali e subnazionali. Si dovranno, perciò, elaborare anche nuovi quadri concettuali per interpretare le risultanze; quadri concettuali che non partono dall’assunto che il nazionale è un sistema chiuso ed esclusivo. Lo studio di fabbriche che fanno parte di global commody chain (<<catene di merci globali>>), interviste approfondite in grado di cogliere gli immaginari individuali relativi alla globalità, etnografie di centri finanziari nazionali contribuiscono congiuntamente ad ampliare il terreno analitico per la comprensione dei processi globali. Tale ampliamento del terreno analitico per lo studio della globalizzazione inaugura un ampio programma di ricerca per le scienze sociali in generale e, forse specialmente, per domande di tipo più sociologico e antropologico.

Che cosa intendiamo dire con il termine <<globalizzazione>> ? A mio modo di vedere, il termine comprende due distinti insiemi di dinamiche. Uno, riguarda la formazione di istituzioni e processi esplicitamente globali, quali l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), i mercati finanziari globali, il nuovo cosmopolitismo, i tribunali internazionali dei crimini di guerra. Pratiche e forme organizzative per cui il tramite tali dinamiche costituiscono ciò che si ritiene globale per eccellenza. Sebbene si attuino parzialmente su scala nazionale, sono in larga misura formazioni globali nuove e patentemente tali.

Il secondo insieme di dinamiche comprende processi la cui scala non è, necessariamente, a un tale livello di globalità; ma che, sostengo, fanno parte della globalizzazione. Processi che avvengono all’interno di territori e domini istituzionali che sono stati ampiamente costruiti in termini nazionali in gran parte del mondo, seppure, certamente, non in tutto il mondo. Pur essendo localizzati in ambiti nazionali, e persino subnazionali, questi processi fanno parte della globalizzazione perché concernono sia reti transconfinarie ed entità che connettono molteplici processi e attori locali e <<nazionali>>, sia la ricorrenza di particolari questioni o dinamiche in un numero crescente di paesi o di località. Vi includo, per esempio: reti trasfrontaliere di attivisti espressione della società civile impegnati in specifiche lotte localizzate e ispirate a un programma globale più o meno esplicito, come si verifica nel caso di numerose organizzativi ambientaliste o di difesa dei diritti umani; particolari aspetti dell’operato di stati, quali, per esempio, l’attuazione di determinate politiche monetarie e fiscali in un numero crescente di paesi, spesso in seguito a pesanti pressioni del Fondo monetario internazionale e degli Stati Uniti, perché tali politiche sono d’importanza decisiva ai fini della costituzione di mercati globali; l’utilizzo da parte dei tribunali nazionali di strumenti internazionali – dai diritti umani ai parametri ambientali internazionali, alle norme dell’organizzazione mondiale del commercio – per affrontare questioni che, in precedenza avrebbero risolto con strumenti di carattere nazionale. Vi includo inoltre definendole <<forme non cosmopolite di globalità>>, condizioni emergenti più difficili da cogliere, quali forme di impegno politico e di immaginari imperniati su questioni e lotte localizzate, ma condivise in altre parti del mondo, i cui partecipanti sono sempre più consapevoli di questa situazione transfrontaliera.

Quando le scienze sociali si concentrano sulla globalizzazione non prendono solitamente in considerazione questo secondo tipo di processi e istituzioni, privilegiando, invece, la scala patentemente globale. Le scienze sociali hanno fornito importanti contributi allo studio di questa scala globale affermando l’esistenza di molteplici globalizzazioni, e rendendo sempre più chiaro che la forma dominante di globalizzazione – l’economia globale delle corporation – è soltanto una delle tante. La scienza politica, e in particolare quella che studia le relazioni internazionali, si attiene a un rigido quadro canonico dell’Internazionale, in cui lo stato nazionale svolge un ruolo di protagonista. La rigidità di questo canone pone delle difficoltà allorquando si disquisito possibilità di formazioni globali di carattere multiscalare. La stessa cosa può dirsi della sociologia. I suoi metodi di ricerca e i suoi insiemi di dati, infatti, derivano la loro forza, in larghissima misura, dal tipo di chiusura rappresentato dallo stato-nazione. Ciò vale in particolare per i generi più quantitativi di sociologia, che si sono mostrati capaci di elaborare metodi sempre più raffinati fondati sulla possibilità di insiemi di dati chiusi. Pur utilizzando metodi e ipotesi assai differenti, l’economia applicata è similmente condizionata da insieme di dati che presuppongono la chiusura della realtà che ne sta alla base. D’altro canto, pur attenendosi ad assunti simili sullo stato-nazione, forme di sociologia più propense alla storicità hanno fornito contributi significativi allo studio dei sistemi internazionali, in cui è degno di nota il lavoro sui world-systems (<<sistemi-mondo>>) e le migrazioni oltreconfine.

La geografia politica ed economica ha contribuito, più  di qualsiasi altra scienza sociale, allo studio del globale, in particolare mediante il suo atteggiamento critico nei confronti della scala. Riconoscendo la storicità delle scale, s’oppone alla reificazione e alla naturalizzazione della scala nazionale ampiamente presente nella maggior parte delle scienza sociale. Gli antropologi hanno contribuito allo studio delle forze particolaristiche e dense che fanno parte di queste dinamiche, mettendoci in guardia, indirettamente, dai rischi di analitiche esclusivo scalari che trascurano questi ambienti complessi. Senza voler generalizzare, direi che gli strumenti analitici e interpretativi di queste due discipline si sono rilevati vantaggiosi nello studio del globale, sia nella prospettiva convenzionale, che le vede come interdipendenza, sia nell’approccio più esteso praticato in questo libro. Nonostante questi progressi delle scienze sociali, resta ancora molto da fare. Un lavoro che comporta distinguere, se non altro, sia le varie scale che si costituiscono attraverso i processi e le pratiche globali, sia i contenuti specifici e le collaborazioni istituzionali di questa globalizzazione multiscalare.

L’approccio sviluppato in questo libro ha conseguenze concettuali e metodologiche. Cosa più importante, fa propria l’esigenza di uno studio dettagliato di particolari formazioni e processi nazionali e subnazionali e della loro ricodificazione quali esempi concreti del globale. Ciò significa che, per la nostra ricerca, possiamo utilizzare molti insiemi di dati e tecnologie esistenti, ma che dobbiamo collocarne i risultati in differenti architetture concettuali. Architetture concettuali che richiedono categorie nuove che non presuppongano i dualismi abituali nazionale/globale e locale/globale. Sono esempi di queste categorie le comunità transnazionali, le città globali, le catene delle merci, la comprensione dello spazio-tempo. Questa terminologia è originata, in parte, dal tentativo di nominare condizioni nuove, o che hanno assunto forme nuove, o che sono visibili a causa dello scompaginamento di vecchie configurazioni. Vecchie categorie analitiche possono essere utilizzate, ma in modi che differiscono da quelli per cui sono state concepite. Categorie sociologiche abituali (quali razza, genere, città, immigrazione, connettività sociale) possono, in linea di principio, incorporare l’analitica emergente da questa riorganizzazione concettuale. La categoria di denazionalizzazione utilizzata in questo libro, e messa a punto in Sassen (1996 e 2006a), coglie un effetto sempre più comune delle interazioni del globale e del nazionale. Due elementi decisivi di questa interazione sono la natura altamente istituzionalizzata e la densità socio-culturale che caratterizzano il nazionale. Le strutture del globale all’interno del nazionale comportano, pertanto, una denazionalizzazione parziale, altamente specializzata e specifica, di particolari componenti del nazionale. […]”

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