L’espressione politica del centro-destra rappresentata da Berlusconi, scalpita e detta le regole dell’innominabile ‘Rosatellum 2.0’ che per uno sano di mente, dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, corrispondere alla legge elettorale. Litiga, alza i toni e nel suo viaggio in Russia, chiede a Putin di tagliare i fondi alla Lega di Salvini (?) che a proposito di fondi, per le ragioni che tutti conosciamo, dovrà arrangiarsi per poter sostenere una campagna elettorale dispendiosa ben oltre le reali possibilità. E sempre da Arcore, arrivano impropri persino contro il “figliol prodigo” Renzi con l’intento di offuscare un patto che è nelle corde e nella natura dell’apparente parricidio. Tant’è che Berlusconi, fregandosene altamente di tutto e di tutti, preferirebbe persino un governo di «responsabilità» a guida Gentiloni.
Insomma, visto che i numeri della sua creatura partitica latitano, meno del 13,5 %, va bene anche lanciare l’amo alla sinistra di Renzi, cioè a Franceschini e Calenda, pur di scongiurare una leadership che vedrebbe Salvini a capo di un’accozzaglia dove lo sport ufficiale, risulta essere tutti contro tutti. A sinistra le cose non sono diverse e sempre in nome della «responsabilità», Giuliano Pisapia fa sapere al duo Bersani-D’Alema che la “ribellione” dei suoi progressisti è finita. In pratica, rimangiandosi quanto detto fino a ieri e tornando nei ranghi del PD renziano. La possibilità delle due liste di centro-sinistra che per forza di cose confluiranno in un unico schieramento, non è poi così barbina.
Un panorama politico così deludente, rimanda al volume Weber. La politica come professione (edito da Mondadori, luglio 2017) dov’è presente un saggio introduttivo di Massimo Cacciari. Troviamo nello scritto questa annotazione di Weber che ci fa pensare: «l’etica dei principi e l’etica della responsabilità non costituiscono due poli assolutamente opposti, ma due elementi che si completano a vicenda e che soltanto insieme creano l’uomo autentico, quello che può avere la ‘vocazione per la politica’ ». Possiamo dire che nell’epoca della rappresentatività a tutto tondo, il testo della conferenza ‘La politica come professione’, tenutasi presso l’Università di Monaco nel gennaio 1919, è diventata carta straccia. Un foglio in bianco riscritto secondo “l’arte” degli intermediari del politichese.
Delle due tipologie di etica, sopravvive solo quella della «responsabilità», razionalista, applicata alle argomentazioni della politica. Sempre più annichilita dalla professionalità gestionale e amministrativa dedita all’auto sostentamento che ne ha snaturato il senso. In questo coacervo di pensieri politici, confusi e contraddittori, affiorano quei pretesti e tradimenti, quelle provocazioni gratuite e quelle risposte piccate, che troviamo nella commedia satirica La guerra dei Roses. In quel piccolo ma significativo spicchio dell’insieme emblematico de “l’Occidente dei sogni, l’Occidente dei guai“, musicato da Lanzi e descritto con le parole di Cirri, nell’indimenticata quanto premonitrice “Occidente Goodbye”, del lontano 1968. Quello Si che era cabaret, altro che questo…
Diciamo che alla destra, come alla sinistra, importa solo continuare la lunga scia dei governi di scopo non eletti da nessuno, per spartirsi in maniera equa i ministeri. Questo è quello cui puntano Berlusconi e Renzi, visto lo spauracchio annacquato dei Cinque Stelle, la mancanza di un elettorato e la certezza di vedere pochi italiani, pronti a seguire e votare la solita minestra riscaldata. È esattamente lo scenario che troviamo riportato nell’articolo “Centrodestra, Berlusconi vuole Gentiloni premier dopo le elezioni politiche”, pubblicato lunedì 9 settembre sul sito del quotidiano on line http://www.affaritaliani.it, non molto distante da quello che sta accadendo.
Le argomentazioni principali, sono suggerite dalla politica, in ostaggio del manicheismo che tende a ripresentarsi all’infinito. Accrescendo le proporzioni gigantesche della spoliticizzazione in Italia ed il sistema di credenze sulla “cosa pubblica” (l’opinione pubblica), che è anche uno dei viatici “dell’attendibilità” dei media, molto diversa da quella degli italiani. Ad essere sotto scacco è la riconquista di una mentalità, tediata da una società che ha annullato la nostra socialità innata, privandoci di fatto della possibilità di scorgere nella Politica, la volontà di intervenire per prendere delle decisioni che riguardano la collettività. Non c’è nessun segreto di stato, nessun dubbio sui risultati della mondializzazione e/o globalizzazione che ha intaccato pure la politica.
Purché si riescano a comprendere gli effetti peggiori, rappresentati dall’annullamento di un equilibrio già esistente, della direzione di una rotta chiara e precisa, del poco tempo a disposizione sempre più spazializzato, dove il susseguirsi dei momenti dedicati all’ambito politico sono pressoché identici, annullando di fatto il concetto di spazio e di luogo. Insomma, prima di agire e per uscire dall’impasse politico, bisognerebbe perlomeno riuscire a scorgere il complesso di reti auto-prodotte “naturalmente” della società italiana e di quella occidentale, per riabilitare il legame dei vincoli e degli obblighi sociali.
In parole povere, dobbiamo ripensare alla politica come ad un qualcosa che non svolge un ruolo di stabilizzazione (ricordate i burocrati e le panzane della responsabilità nel segno della stabilità?) ma di decisione per risolvere le problematiche impellenti. Possibilmente, dimenticandoci delle lodi al liberalismo politico e le gaffe dell’intermediazione politica che indirizzano solo ed esclusivamente, verso l’autoreferenzialità dell’interesse privato. Il ritorno alla politica, deve passare attraverso un intervento diretto, sulle tre polarità che dominano la post-modernità: politica, economia e media. Liberandole così, dall’utilitarismo e dell’omologazione dominante.
In attesa del prossimo spettacolino, dove potremmo davvero calare il sipario, definitivamente.
(Fonte: http://www.destra.it, Francesco Marotta, 11 ottobre 2017)