Spengler contro Spengler. Per una filosofia della Storia

 

Una delle menti brillanti della Rivoluzione Conservatrice tedesca, era senza dubbio Arthur Moeller van den Bruck. Autore di un interessantissimo lavoro mai uscito in Italia ed intitolato “Tramonto dell’Occidente? Spengler contro Spengler”, pubblicato in Germania nel 1920 sulla rivista di politica e letteratura, Deutsche Rundschau.

La riedizione in lingua italiana è a cura di Stefano G. Azzarà, voluta fortemente dal maître à penser della Oaks Editrice Luca Gallesi. Ed è grazie al suo infaticabile lavoro che possiamo, finalmente, apprezzare uno dei testi più interessanti dello storico e scrittore tedesco che pubblicò, lungo l’arco di 16 anni, dal 1906 al 1922, l’intera bibliografia di Dostoevskij in lingua tedesca.

Ad essere esaminata attentamente dall’autore è la prima edizione originale del saggio “ Il Tramonto dell’Occidente” di Oswald Spengler. Sullo sfondo delle potenze vincitrici e delle potenze sconfitte della prima guerra mondiale, nello scenario del pesante fardello del Trattato di Versailles, Moeller van den Bruck rivela la sua “visione del mondo”. Le sue, sono delle riflessioni  che non combaciano con la fine inesorabile e senza diritto di replica, dell’Occidente spengleriano.

Quel pensare alla fine certa di tutta la civiltà occidentale di Oswald, cozza tremendamente con l’archetipo di un Occidente che secondo Arthur è «ù·no» ma che in verità è più d’uno; dalle differenti nature sociali, culturali e protostoriche. Come quella che purtroppo contrassegnò una certa civilizzazione, il vano d’ingresso dell’imperialismo dell’Occidente dell’Ovest. Al contrario di Spengler, Muller riponeva la sua fiducia in un asse orientato verso Nord-Est, necessario per rigenerare l’Occidente. Ritrovando così, «la generazione primordiale» che a detta del Nostro, «ricomincia sempre da capo».

La sconfitta della Germania, l’abisso nietzschiano che rischia di inghiottire per sempre l’Europa con l’esplosione della tecnica, la diluizione indeterminata del liberalismo e del progresso, l’intensificarsi del razionalismo e del materialismo che, faranno da corollario alle ideologie di fine ‘800 ed a quelle di inizio ‘900, coincide con l’implosione di un immaginario. Quel sopravvivere alla catastrofe, spingerà Muller a prendere in seria considerazione una chiave di lettura che è la stessa del curatore del libro: ovvero, elaborare un’immagine del mondo di ciò che è immanente,  «capace di ridefinire i confini della propria essenza e parlare a tutti i popoli giovani. Ponendo, a partire dalla Germania, le basi di una nuova Kultur continentale e della sua duratura egemonia».

Il destino dell’Occidente è inteso nel compiersi e nel divenire, nel ciclo cosmico che comprende il buio ed il ritorno della luce. La notte, le tenebre infernali, cedono il posto alla luce splendente del sole. Nel modo in cui l’autunno preannuncia l’inverno, l’inverno la primavera e quest’ultima, l’estate. E se c’è un merito che Muller riconosce al libro di Spengler «sta nel fatto di parlare nuovamente del destino», criticandone però, le mancate prese di distanza dagli artifici del progresso e di un determinarsi dell’avvenire che il darwinismo vede con gli occhi patologici dell’eventuale «lotta per la sopravvivenza» e della civilizzazione liberale dell’Ovest.

Citando, la corretta definizione concettuale di Muller e la possibilità di riflettere su «ciò che è calcolabile ha sempre contro di sé ciò che calcolabile non è» e quella da rileggere di Spengler,  che interiorizza un’altra Storia ed il destino. I quali, contrariamente a quelli che meditava, possono riproporsi simili ma, mai identici: in questo scritto significativo del pensiero di Muller, affiora la pretesa di Spengler «di aver sostituito al sistema tolemaico della storia un sistema copernicano», coincidente con «l’idea di un principio antico e di un principio occidentale contrapposto e del tutto diverso», riconoscibile nell’interpretazione sin troppo semplicistica del dualismo rinnovato di Apollo e Dionisio.

Ma il figlio di Zeus e di Semele non rappresentava solo gli orgia,l’inventore della vite, della birra e del melo. Soprattutto, era l’incarnazione della natura nel suo ciclo di morte, crescita e rinnovamento. Per citare un altro piano che è quello storico descritto da Muller, la  «Trasmissione che non è ripetizione» ha attraversato il Rinascimento, dove «l’Italia voleva e cercava sé stessa» e, simbolicamente, riuscendo in questo modo a riannodare quel filo che racconta del rinnovamento, «primordiale».

Questo saggio-critica del lavoro di Spengler ha i tratti distintivi della differenziazione che intercorre tra i quattro punti cardinali d’Occidente. Ma al contempo, riapre un dibattito attuale su l’occidentalizzazione americanocentrica dei nostri tempi, sullo spirito dei luoghi, sull’incontro tra Nord e Sud: rispunta la questione irrisolta dell’essenza immateriale del gotico, cioè del Nord, intrappolato tra Roma e Cartagine, ancora vivo e desto nonostante l’indole moresca, attribuita alle genti del Meridione.

Alla fin fine, agli occhi degli sprovveduti, non hanno nessuna importanza l’incontro con le popolazioni dei Normanni e degli Svevi. Tanto meno i primordi del I millennio a.C. e la lunga linea di tramite qual’era la terra e la costa; ovvero, la rotta del rame e dello stagno e la storia  degli indoeuropei provenienti dal Nord Italia che discendevano la dorsale appenninica. E dopo di loro i greci, i romani e dopo ancora i germani, poi ancora una volta i romani ed ancora i Normanni. E solo in ultimo, la presenza araba…

La figura di spicco della Rivoluzione Conservatrice Tedesca, traccia una linea di demarcazione che «dal Rinascimento in avanti» vide «l’Europa spostata verso l’Ovest», smarrendo la possibilità di ogni confronto con l’Est del Continente. Di sicuro non poteva intuire tutto quello che sarebbe accaduto dopo. Morì suicida a Berlino nel 1925 e non visse la dirompenza dei totalitarismi del ‘900; quelli successivi, dell’egualitarismo e dei disastri del capitalismo di ultima forgia.

Comprese ciò che era arduo cercare di conoscere in quegli anni così traballanti e preannunciatori di tempeste. Per molti di noi, quel laboratorio di pensiero che sperimentava le simulazioni “celestiali” del Progresso, nelle sue personalità così dissimili una dall’altra, prendendo corpo in una Rivoluzione Conservatrice molto lontana dalla estrapolazione di alcune idee del movimento völkisch ridotte a fanatismo ideologico, destò il massimo interesse verso gli  interrogativi sull’Europa e sulla comunità di destino.

Un motivo in più per riflettere sull’eredità che nel corso degli anni è mutata e che ognuno di noi deve assumersi. Logicamente, a seconda dei tempi perché è impossibile ricreare un qualcosa di simile e adeguarlo alla nostra epoca. L’occidentalizzazione ha concluso il suo percorso e lo sguardo non può restare fisso su un periodo a piacimento. Sempre che per molti non sia l’unica ragione di vita e lo scopo ultimo di un interesse.

Arthur Moeller van den Bruck

Tramonto dell’Occidente? Spengler contro Spengler

A cura di Stefano G. Azzarà

Oaks Editrice, Collana Ribelli, Pagg. 74, euro 10,00

(Fonte: http://www.destra.it, Francesco Marotta, Penna Pellicola Palco, 25 dicembre 2017)

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