Il vascello di Ishtar di Abraham Merritt naviga in acque sicure

 

“Le nostre verità non valgono più di quelle dei nostri antenati. Avendo sostituito ai loro miti e ai loro simboli dei concetti, ci riteniamo ‘progrediti’; ma quei miti e quei simboli non esprimono meno dei nostri concetti”.

Da questo breve ma intenso pensiero, riportato dal Sommario di decomposizione di Emil Cioran, nascono alcune riflessioni sull’ultima lettura. Trattasi di un romanzo scritto da Abraham Merritt, intitolato “Il vascello di Ishtar”, edito da Il Palindromo e riproposto con le dieci illustrazioni raffigurate dalle penne ad inchiostro del famoso disegnatore statunitense Virgin Finlay.

Il componimento narrativo di Merrit, The Ship of Ishtar, venne pubblicato per la prima volta nel 1924. In Italia invece, uscì nel 1978 per la Fanucci Editore. Indovinate un po’da chi era stata scritta l’Introduzione a quattro mani ? E da chi altri se non, dai due navigati esploratori del filone letterario della Fantascienza, quali sono Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco. Il testo è attualissimo ed è presente anche in questa ristampa. Non poteva essere diversamente e ne siamo felici.

La Nota critica a cura di Andrea Scarabelli, scruta con attenzione il pensiero evoliano Sul navigare come simbolo eroico. D’altronde, trattasi pur sempre di un vascello metafisico che di suo, sconfessa quel dualismo cosmico e le manie del presentismo di epoca moderna. Per quello che riguarda la Nota Biografica, redatta da Maria Ceraso, risulta essere una chicca nella chicca: le opere e la vita dell’autore di origini quacchere (Sigh…)si allontanano dall’ordinario. L’acume editoriale di Giuseppe Aguanno, direttore della Collana I tre sedili deserti, non sbaglia un colpo: il font calligrafico è lo stesso della prima uscita, impreziosito dalle note biografiche che non sono invasive.

La trama, ruota attorno ad un piccolo scrigno che apre uno stargate nel pluriverso di mondi (s)conosciuti di epoche lontane. Dove si intrecciano i motivi fondamentali della mitologia e del riconoscimento delle differenti modalità di intendere nell’essere umano, il mondo e l’esistenza. Diciamo pure che la facilità descrittiva del senso del luogo e/o di «spazio» di Abraham Merritt, invita a sperimentare in prima persona la «Coscienza del Se’» e le sue manifestazioni chiare di mente e corpo. In aggiunta, le distinzioni che intercorrono tra il «Mascolino» ed il «Femmineo», incanalate in due divinità mesopotamiche che corrispondono a Ishtar e Nergal, sconcertano per la loro eloquenza evocativa.

L’alter ego letterario di Abraham, il newyorkese John Kenton, eviterà di cadere nella plasmabilità/dualità del Bene e del Male che riporta dritto, alle origini del calvinismo puritano del suo inventore. John farà un viaggio che gli permetterà di intuire i Misteri Eleusini, di scorgere il mantello dalle piume di falco di Freya, di sentire le catene che imprigionano Loki ad una roccia e, l’odore, sin troppo sdolcinato, dei giardini pensili di Babilonia. A differenza delle callide ed esotiche ambientazioni del mondo perduto ottocentesco di Abraham, tramite l’ologramma letterario di John, il giornalista di Beverly, scoprirà la pluralità delle cose e di un’esistenza, giovandosi della saggezza ancestrale.

Al suo fianco, veglierà Nabu, altro dio mesopotamico della sapienza e della scrittura che gli farà da guida, alla comprensione delle tavolette di argilla scritte a caratteri cuneiformi. Davanti a loro si staglia la leggendaria Uruk e per entrambi, finalmente, non ci saranno segreti. Mentre Abraham, nella sua insolita creatività, fisserà su carta le avventure del suo lato inespresso: questo era l’unico modo che conosceva per liberarsi dai simulacri della sua era. Ma l’Altrove, l’inconsueto, incalza. E paradossalmente gli mostrerà, lo zeitgeist e la cifra dei tempi. La razionalità di Abraham, presto si affievolirà, ineluttabilmente.

Il protagonista, per dirla con Heidegger, farà sua la realtà che si manifesta all’uomo: la Vorhandenheit (presenza), il Dasein (esserci) e la Zuhandenheit (utilizzabilità), descritta perfettamente da Franco Volpi nei suoi lavori. Riusciranno così, insieme, ad affinare una sensibilità verso ciò che ha un ordine di natura plurale delle cose. Il diorama che permetterà a John di attraversare una realtà-simbolo, cioè la sua identificazione da parte degli altri co-protagonisti con la simbologia del Lupo, l’animale selvaggio della morte e distruzione ma, depositario della conoscenza, rivelerà l’essenza di un tempo della realtà e di quello mitologico. Un’avventura avvincente, solcando un mare oceanico che sembra non avere fine. Ed è proprio questo uno dei crucci di Merrit che non confuse l’illimitato ed il fanta-onirico, con un qualcosa che è parte del fondamento di ognuno di noi.

La dipendenza dai codici e dai canoni estranei alle usanze, perderà d’importanza. Dopotutto, un nonsenso non è degno di attenzione.

 

Abraham Merritt

 Il vascello di Ishtar

 Editore Il Palindromo, Collana I tre sedili deserti, 11/01/2018

Ppgg. 336, euro 26.00

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