Steve Bannon e il suo The Movement. Tra luci e ombre, lucciole e lanterne

 

La figura di Steve Bannon separa e divide. L’atteggiamento da “araldo” del «populismo-sovranismo», è roba da prendere con le molle. Senza inoltrarci in una disamina valutativa che non è nelle nostre corde: molti vedono in Bannon, una sorta di Grillo “Made in USA”. Non è certo il nostro caso. Il fenomeno di ‘The Movement’, assomiglia tanto ad un «sovranismo» di destra, con accenni contro l’establishment e vagamente “patriottardo”. La rottura con Trump, dovuta ai giudizi pesantissimi sul «Russiagate» e la stima dimostratagli nel corso dell’intervista di Alessandro Giuli ad Atreju e che trovate su YouTube, “Trump uomo pace nemico Davos. Evitare guerra atomica”, dimostra quanto sia capace di “saltare da palo in frasca” con una certa abilità.

Parlando di ‘The Movement’, non possiamo tenere conto della fase di stallo in cui versa l’UE, dei contesti interni e delle sovrapposizioni esterne, di cosa siano davvero il «populismo» e il «sovranismo», spesso male interpretati. A venirci in aiuto, troviamo un’intervista rilasciata da Marco Tarchi al quotidiano La Verità, dal titolo «Comodo fare i democratici se il popolo vota “bene”». Alla domanda di Antonello Piroso, «Populismo e sovranismo sono sinonimi?», il politologo e docente universitario fiorentino, dimostra di avere le idee chiare: «No, anche se possono sovrapporsi. Si può reclamare la sovranità di uno Stato senza accettare quella del popolo. Ai populisti stanno a cuore entrambe». Specificando, la differenza tra popolo e massa, tra «un’unità coesa e provvista di un proprio senso in grado di decidere il proprio destino» e tra «un semplice aggregato di individui» che ci fa pensare, alle domande/richieste delle masse di Werner Sombart.

Questi punti focali che Tarchi ha evidenziato, purtroppo sembrano cadere nel vuoto. Quanto le attinenze con il “messianesimo” e con una grande missione da compiere del «populismo-sovranismo», quando in realtà la privazione di autonomia decisionale, non è nelle sue corde. Il non voler approfondire le questioni di Davos, senza mai spiegare cosa rappresentano per Bannon, la globalizzazione, la società attuale e cosa pensi dell’Europa, rimane un mistero. Dopotutto, la questione non verte solo sulle élite, quando siamo i primi a delegare ad altri facendoci rappresentare. L’Europa siamo prima di tutto noi. Per non parlare delle argomentazioni che riguardano il pericolo iraniano, cinese, turco a fasi alterne, di interesse sia per la Casa Bianca e sia per l’alleato nel Medioriente che è Tel Aviv.

Diciamo che l’incognita del carrozzone che girovaga per mezza Europa, attira più una certa destra liberale cui fa piacere la demonizzazione anti-populista. Salvini e Orbán , sono un’eccezione. Nel senso che il «populismo», riprendendo ancora quello che ha giustamente scritto Tarchi, è tutt’altra cosa. I due think tank tirati a lucido, quello americano denominato da Bannon ‘Citizens of the American Republic’, dai «grandi donatori e molti di loro sono investitori esperti del paese che capiscono quale sia la posta in gioco» perché «sono tutti falchi sulla Cina», e quello europeo ‘The Movement’, fanno pensare molto. E non solo, alla facile interpretazione di un’Europa alle prese con chi vuol proporre un qualcosa, che non sia proprio ad appannaggio dell’insieme europeo, dal basso verso l’alto. Ma è ancora presto per dirlo.

Di sicuro, per tanti sarebbe una gioia levarsi di torno una possibile potenza, persino così deficitaria. Ciò detto, siamo sicuri di voler lasciare questo argomento, alle penne dell’anti-americanismo cospirazionista e ossessivo, che difende in realtà l’Occidente? Pensiamo di no. Anche perché, notiamo una certa confusione che aleggia nei sovranisti di casa nostra, non proprio certi di aver capito quale sia la “famiglia” di appartenenza. Vista la voglia di aggregare l’avversario a discapito della “propria”.

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