Al cinema/ Joker, ovvero capitalismo e schizofrenia

Vincitore del leone d’oro al festival del cinema di Venezia e polarizzatore dei giudizi della critica, il film di Todd Phillips è l’ennesima dimostrazione di come un universo fumettistico nato rivisitando il personaggio di Zorro, come suggerito da Grant Morrison, si sia evoluto fino a diventare uno specchio della società. Il perno di questa trasformazione è la constatazione che i personaggi principali sono essenzialmente uomini con una maschera e questo permette un realismo delle storie impossibile qualora i personaggi abbiano dei superpoteri. Da questo punto di vista, la maschera non è solo un metodo per nascondere la propria identità ma è anche il segno d’essere diventati qualcos’altro rispetto a sé i.e., una sorta d’archetipo, permettendo di scrivere storie che ambiscano a diventare allegorie ed abbiano l’ambizione filosofica di spiegare alcuni fenomeni della contemporaneità e.g., la rivolta delle periferie.

Il film narra la nascita del personaggio riprendendo alcuni elementi stilistici, come l’uso dei colori per separare le fasi del racconto, dal classico The Killing Joke ma ne ribalta il fondamento della follia come reazione singolare ad un trauma utilizzando invece uno schema concettuale molto prossimo a quello di Deleuze e Guattari in Capitalismo e Schizofrenia. Nel saggio in questione il filosofo e lo psicanalista francese mettono in discussione il concetto classico di malattia mentale fondato sul principio, in definitiva liberale, che l’oggetto di diagnosi sia l’individuo e, legando nevrosi e condizioni di vita delle persone, descrivono la follia come un adattamento all’organizzazione sociale.

Allo stesso modo, la discesa nella follia del Joker è narrata come la comprensibile reazione di chi è stato dimenticato dalla società in cui vive ed ha perso, di conseguenza, ogni legame con le persone che lo circondano, sfruttando il mezzo cinematografico per mostrare uno stato mentale che degrada ad uno stato intermedio tra la realtà ed il sogno per creare un’illusione in cui esista una soddisfazione del desiderio. Quando l’illusione crolla, l’obiettivo della rivalsa diventano figure come Thomas Wayne, che chiama clown i contestatori del potere finanziario riecheggiando il basket of deplorables con cui Hillary Clinton ha apostrofato i supporters di Trump, o Murray Franklin, che è il modello inarrivabile a cui aspira il protagonista, e vengono giustificate come la risposta all’indifferenza che colpisce chi è agli ultimi gradini della scala sociale.

Diventando un simbolo popolare, le azioni del Joker scatenano una vera e propria lotta di classe che è generata dallo scarto tra le aspirazioni frustrate di quanti vivono in una periferia sprofondata nel degrado ed invasa da immondizia e ratti e lo stile di vita di quanti vivono al chiuso dell’opulenza del pulitissimo quartiere finanziario. In conclusione, il film diventa una denuncia contro una società centrata sull’economia che scarta coloro che non sono utili al suo ideale funzionamento poiché convinta che ogni individuo sia il solo responsabile della sua condizione umana.

(Andrea Piran, pubblicato anche su Destra.it, 17 Ottobre 2019)

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