Capitalizzare al massimo è un dovere effettivo che pochissime società possono permettersi il lusso dall’esimersi, andando controcorrente. Neppure le teste pensanti della sociologia economica ampiamente riconosciuta, riescono ad arrabattarsi sull’evoluzione che ha cambiato totalmente il modo di agire nel quotidiano, intaccando le fondamenta delle comunità. L’economista e sociologo tedesco Werner Sombart (Ermsleben, Harz, 1863-Berlino 1941), analizzando in buona parte la spirale capitalista di inizio secolo scorso, concentrò la sua attenzione su alcuni fattori rimarchevoli: evidenziando la solennità di una morale artificiosa che, unita ad alcuni estratti di filosofia strumentale, adiacente all’insieme religioso monoteistico, influì massicciamente sull’assetto strutturale e sedimentario delle società dell’epoca, sempre più metropolitane. Disposte, secondo alcune inclinazioni, tendenze e abitudini appena accennate ma già esistenti, a rincorrere un nuovo sviluppo e parallelamente ad esso, metabolizzarne le alterazioni della mentalità.
Possiamo dedurre che assieme alla morale borghese, strizzando l’occhio ad una visione anticipatrice delle moderne riformulazioni dell’idea di Stato che in seguito, dall’inizio delle grandi Migrazioni tramandate, principalmente, da modelli conformi alla natura umana più incline a divenire un soggetto economico capitalista, le parole di Sombart, riecheggiano all’interno delle grandi cattedrali metropolitane. Simboli e genesi del sistema economico moderno: «Le grandi città si sviluppano intensamente, poiché sono residenza del più consistente nucleo di consumatori». E con esse, la possibile evoluzione di un quadro storico nuovamente aggiornato, decisivo nel programma di ricollocazione della Forma Capitale; soprattutto alla luce odierna delle importanti osservazioni sulla “Sovranità Individuale” di alcuni soggetti appartenenti alle società, dimentichi di una natura e dell’essere cittadinanza. Come spiega Alain De Benoist, dall’homo democraticus greco, riconvertiti automaticamente ad un ruolo di pronto soccorso ostetrico, costituendone, contemporaneamente, un’area di pertinenza: l’humus buono e la materia biologica di una nuova muta del Capitale.
Siamo prossimi all’archiviazione del “turbo-capitalismo” finanziario ? E’ più corretto dire che siamo quasi giunti all’impatto con un limite e che i poteri forti, citati dalla molteplicità delle forze politiche, altro non sono, se non dei terminali. A loro modo, riprodotti nella capacità, parzialmente ridimensionata dei mezzi a disposizione e morfologicamente utile, per esprimere una temporalità del profitto. E con essa, le desinenze di un’era votata all’ordinamento sistematico dell’irrealtà economica e sociale, dell’espansionismo del libero mercato e, delle oligarchie organiche all’alta finanza (una delle appendici mobili della Forma Capitale) e, alla cattiva politica degli uomini stato/status. L’implosione tutta da decifrare di un sistema e di una prossima ricostruzione, partendo da questi presupposti e dalle lotte sugli effetti relativi all’economia e all’impianto sociale del capitalismo, sin dalla metà del XIX secolo in Germania, Francia e Gran Bretagna. Di tutte le forze sostenitrici dell’ingranaggio che, a ragion veduta, sono complementari al “Capitalismo Pneumatico”; aderenti unicamente alla sua sostenibilità e aumentandone la forza di espandersi e contrarsi, a seconda dell’utilizzo degli spazi perfino temporali. Volgendo lo sguardo avanti e rifacendosi al passato.
Con l’intento di fissare indelebilmente un uso ed un consumo di due vecchi adagi: la crescita dopo la crisi e lo sviluppo vocazionale. Conseguentemente, non per quello che dovrebbero rappresentare ma, funzionali all’innesco e al grimaldello del ritardo cronico della produttività e della crescita europea rispetto ai soci in affari esteri. Da interpretare però, alla stessa stregua di un conflitto alle intenzioni di una più agevole rinascita, atto solo a garantire una capacità di crescita economica, di progresso tecnologico, delle merci personalizzate, come fattore di coagulazione del processo di una risalita, pilotata. Nel modo in cui, come scriverebbe Alexandre Dumas (padre), rivisitando le Isole Eolie dal 1835 sino al 2014 e, riscrivendo il celebre diario di viaggio Dove il Vento Suona, senza avvalersi di una visione d’insieme post-impressionista simile all’incisività artistica culturale di Paul Gauguin. Tangibile. Diversamente dall’aumento dei beni di consumo immessi nel piano sociale, politico e dell’affermazione di nuove classi sociali e di maggiori spazi delle libertà individuali ?
Un passo avanti e uno indietro: sempre che si riesca a riconoscere una delle tante varianti del capitale che, per evitare danni che comporterebbero la chiara identificazione di un modello, mette in mostra le sue appendici. Dal liberalismo occidentale alle ampiezze globali, sino a tutte quelle minoranze decisionali comunemente riconosciute nelle oligarchie decisionali; specchi per le allodole e vecchie congetture di un ingranaggio elevato. Capace di verificare il livello di usura del battistrada dei pneumatici che utilizza, quali sono le società e soprattutto, una certa innata predisposizione: facendo la spola dal passato al futuro. Il presente non è più commerciabile e il futuro contempla una prima genitura, priva di tempo e sempre in grado di rigenerarsi. Quando lo storicismo di una forza radicata, permea ogni epoca a differenza dei “condottieri del nulla”. Utili uguali.
Francesco Marotta