Negli ultimi anni assistiamo ad un avvicinamento alle idee di Alain de Benoist con un certo piacere. Dobbiamo oltremodo supporre che in più casi tale interesse, rappresenti il solito tentativo di “tirare per la giacca” una mente sgombra dalle sommarie semplificazioni politologiche. Possiamo far finta di nulla di fronte all’evidenza ? Assolutamente no. Anche perché, sono stati scritti dei libri che hanno di fondo la presunzione di avvicinare le sintesi della Nouvelle Droite a partire dal 1979 in poi, accostando sistematicamente gli studi e le intuizioni dello scrittore e filosofo francese, allo steccato della destra radicale e dell’estrema sinistra extra-parlamentare. Vorremmo prima di tutto chiarire che non c’è nessuna intenzione da parte nostra di parlare a nome di de Benoist. Come sappiamo sa farlo benissimo da solo. È purtroppo una constatazione che si ripresenta ciclicamente e che ci trova entrambi d’accordo sulla medesima conclusione a riguardo: l’uso strumentale e la periodizzazione di un passato che si ritiene essere il più vicino al proprio. Nulla di più sbagliato. Alain de Benoist non si è mai riconosciuto nelle etichetta mass-mediatiche che gli hanno confezionato con un’insolita testardaggine. Questa volta, a seguito della doverosa precisazione, abbiano deciso di addentrarci nelle specificità della bioetica post-moderna, ponendogli alcuni quesiti per far conoscere le sue argomentazioni. Ci auguriamo profondamente che questa intervista su un tema cosi scottante, possa far risvegliare l’interesse e la volontà di confrontarsi, distaccandosi dalle catalogazioni correnti.
Quando si parla di Bioetica, l’interesse cade sulla grande rivoluzione e quel fenomeno culturale post-moderno, che tutti credono di aver vissuto o di vivere. Alla base osserviamo lo scorrimento rapido delle pretese umaniste e scientifiche. Poco più sopra invece, l’azione e le gradazioni del progresso in campo medico, scientifico e tecnologico. Quale è il suo parere a riguardo?
Costatare il rapido progresso della scienza in generale, e della biologia e medicina in particolare, è una banalità. La questione é sapere cosa ci si aspetta al di là delle loro applicazioni immediate. L’ideologia del progresso, così come é stata formulata a partire dal XVIII secolo, è entrata al giorno d’oggi in una crisi radicale. Essa sopravvive a se stessa solo sia in campo economico (attraverso i temi della « crescita » e dello « sviluppo») che in quello scientifico e tecnologico. Il risultato é che la gente ha tendenza a vedere la scienza, la tecnologia e lo sviluppo economico come fine a se stessi, mentre queste discipline, nella migliore delle ipotesi, forniscono solamente mezzi. Questo punto di vista é stato spinto fino alla caricatura dai sostenitori del « transumanesimo », che ipotizzano che in futuro la scienza potrà creare uomini « aumentati » che, nel tempo, diventeranno immortali. Nel mondo « liquido » della postmodernità, dove i tutti i valori di riferimento della famiglia tendono a scomparire, la scienza pare fornire punti di riferimento alternativi, saldi poiché basati sui « fatti». Ma i fatti non sono mai una realtà dissociata rispetto alla loro interpretazione, così come i giudizi di valore che consentono di comprenderli. E’ tutto un problema di ermeneutica. Nessuna disciplina scientifica può determinare le finalità dell’esistenza.
L’oncologo americano Van R. Potter nel 1971 inventò il termine bioetica. Era convinto che questa nuova scienza nel corso degli anni, avrebbe migliorato la qualità della vita. Secondo Potter, una “scienza della sopravvivenza” che è stata fondata non solo sulle nozioni biologiche, ma anche su quelle sociali e umanistiche. È proprio così?
Quando si parla di « bioetica », sono in genere tutte chiacchiere che cadono nel vuoto. Il termine stesso é particolarmente vago. Può essere riferito alle preoccupazioni etiche dei ricercatori che lavorano nell’ambito delle scienze della vita: i biologi sono in grado di giudicare moralmente il valore dei loro lavori? O ancora, la bioetica denota la riflessione sul giudizio morale che certe « autorità » più o meno qualificate pretendono di trasferire sui lavori dei biologi. Le due definizioni non sono di grande utilità. Non fanno che riciclare il pensiero di Montaigne: « Scienza senza conoscenza altro non é che rovina dell’anima ». La prima ipotizza che i ricercatori dovrebbero imporsi di non dedicarsi a ricerche « amorali », che mi sembra estremamente naïf, poiché la ricerca scientifica non è tanto una questione relativa agli individui ma si sviluppa autonomamente e gli ambiti che alcuni rifiuteranno di esplorare saranno inevitabilmente indagati da altri. E’ la ragione per cui i « comitati per la bioetica » sono sempre un passo indietro rispetto allo sviluppo scientifico. La seconda si basa sull’idea che c’è una sola morale alla luce della quale si potrebbero giudicare i conseguimenti della scienza, il che è ovviamente falso. La storia del pensiero dimostra che ci sono diverse forme di morale (aretaica o deontologica, aristotelica o kantiana, utilitarista, religiosa, laica, etc.), e che non hanno affatto la stessa interpretazione del concetto di « bene ». Ciò solleva il problema della qualificazione di quelle che si pongono come « autorità morali» : l’autorità s’impone soltanto qualora sia riconosciuta. In realtà, é evidente che la « bioetica » attuale consiste soprattutto nel giudicare le scienze della vita alla luce di quella dottrina eminentemente morale che è l’ideologia dei diritti dell’uomo. Il problema è che non esistono costrizioni esterne che ci obbligano ad aderire ad essa.
Da anni assistiamo agli inviti pressanti della sfera bioetica e alle difese a spada tratta delle religioni monoteiste su alcuni punti. Cosa pensa Alain de Benoist sui temi importanti quali sono la procreazione assistita, l’eutanasia, l’aborto e i trapianti ?
Col favore dei dibattiti « sociali », aperti in particolare sul matrimonio omosessuale, gli ambienti cattolici si sforzano attualmente di ritrovare una visibilità pubblica che la privatizzazione della fede aveva ampiamente fatto scomparire dalla separazione fra Chiesa e Stato. Ne approfittano per rimettere in discussione le normative vigenti relative all’aborto, l’eutanasia, e perfino la contraccezione. Alcune loro argomentazioni mi sembrano accettabili, altre francamente inammissibili. A titolo personale, sono a favore dell’eutanasia (cominciando prima di tutto da me stesso), e non sono neppure di quelli che desiderano interdire l’aborto e il trapianto di organi. La procreazione assistita è un tema più complesso. Essa ha permesso alle coppie eterosessuali di trionfare sulle loro difficoltà a procreare, cosa che ritengo essere peraltro valida, benché il suo utilizzo da parte di coppie omosessuali ponga problemi in materia di filiazione che richiedono delle risposte più ricche di sfumature/specifiche al riguardo. Ciò che trovo invece inaccettabile è la mercificazione di tutte queste tecniche, che fanno dell’essere umano (ad esempio un figlio) un prodotto commerciale come un altro, e aprono la porta alle pratiche di sfruttamento del corpo che rientrano nella sola logica di mercato.
Francesco Marotta
(Traduzione a cura di Cristina Laura Masetti)