Intervista rilasciata a Barbadillo.it:“Il G.R.E.C.E. Italia e l’opzione metapolitica tra Europa, identità e ethnos”

L’intervista con Francesco Marotta, animatore con un gruppo di intellettuali e ricercatori del sodalizio che si ispira alle idee di Alain de Benoist e delle Nuove Sintesi.

Francesco Marotta, il G.R.E.C.E. apre una sezione italiana. Come nasce questa esperienza culturale? Le peculiarità del progetto in Italia?

“Occorre fare un passo indietro. In realtà, questa esperienza culturale nasce anni or sono. Sin da ragazzo leggevo molto attentamente gli scritti di Alain de Benoist, Louis Pauwels, Jean Cau, Jean-Yves Le Gallou, Jean-Claude Valla, i lavori di Michel Marmin, quelli di Jean Haudry sulla indoeuropeistica – ramo della linguistica storica e della linguistica comparativa – ; i saggi storiografici di Dominique Venner – quasi tutti in francese e con il dizionario Larousse alla mano, per via del mio pessimo francese – , di Jean Mabire e di tanti altri ancora. Da noi in Italia, le due riviste Diorama Letterario e Trasgressioni con le analisi di Marco Tarchi, il primo ad aver profuso in Italia le idee ed il pensiero delle “Nuove Sintesi”. Seguivo e, tuttora lo faccio con molto interesse, lo stile giornalistico, gli articoli e le buone letture di Stenio Solinas che stimo molto. 

Rispondendo alla domanda, anni fa chiesi ad Alain de Benoist cosa ne pensasse di una mia eventuale iscrizione al G.R.E.C.E., Groupement de Recherche et d’Etudes pour la Civilisation Européenne e lui mi rispose che era un’ottima idea. La risposta fu importante, per il motivo che oltre ad essere un amico è anche una fonte inesauribile di stimoli intellettuali. I suoi scritti sono quelli che mi appassionano di più. Conobbi in seguito Michel, l’attuale Presidente del G.R.E.C.E. Da lì nacque subito un’intesa particolare che sfociò in una amicizia sincera. È una persona prodiga di buoni consigli, sempre molto disponibile che conosce il senso del donarsi e della gratuità. 

Fin da subito, incominciai a mettermi al lavoro per far conoscere le tematiche di cui ci occupiamo, grazie anche a voci libere come Barbadillo.it, ad altri magazine e riviste cartacee. Parallelamente, mi confrontai con altri amici e persone che avevano lo stesso comune sentire e decidemmo assieme, in una riunione tenutasi a Milano, di dar vita alla sezione del G.R.E.C.E. Italia, cosa di cui avevamo già parlato con alcuni di loro un paio di anni addietro. 

Le peculiarità del progetto culturale non hanno nulla «di una “strategia” mirante ad imporre un’egemonia intellettuale, né pretende squalificare altri possibili approcci o atteggiamenti». Questo campeggia a lettere cubitali nel Manifesto culturale del G.R.E.C.E. Italia. Lo abbiamo inserito sulla prima pagina del nostro sito – www.grece-it.com –, occupandoci sin da subito di svariate discipline tra le quali la metapolitica, la storia, l’economia, la geopolitica, la filosofia, giornalismo e comunicazione, musica e arte, cinema e persino le discipline sportive, dando il via ad una serie di convegni, simposi e seminari fisici.

Il logo del GRECE Italia richiama Castel del Monte la fortezza federiciana

La prospettiva è sì metapolitica ma multidisciplinare. In breve, crediamo che la storia sia certamente il risultato della volontà e dell’azione degli uomini, ma questa volontà e questa azione si esercitano sempre nel contesto di un certo numero di convinzioni, di credenze, di rappresentazioni che conferiscono loro un senso e le orientano. Siamo una scuola di pensiero che vuole incidere, facendo conoscere le proprie idee, dove ognuno può attingere dai nostri suggerimenti e da quelle elaborazioni che via via svilupperemo”. 

Quali elaborazioni dei circoli identitari francesi sono più avanzate (e utili) per comprendere il contesto europeo e globale?

“Innanzitutto, dovremmo far mente locale su cosa realmente accade in Italia ma anche nel resto d’Europa. Per farti un esempio: in un’intervista rilasciata da Alain de Benoist al quotidiano la Repubblica, dal titolo Alain De Benoist “La mia Nuova destra ha più successo in Italia che in Francia”, discorrendo delle “scomuniche” degli intellettuali in Francia e della possibilità invece in Italia di esprimere il proprio pensiero, alla domanda «Come mai in Italia quella “scomunica” non c’è mai stata?», la sua risposta è stata «Da voi il dibattito è più aperto». Personalmente, ho sempre pensato che da noi in Italia, vuoi per il diverso retroterra culturale e vuoi per non saper leggere più in là del proprio naso, la realtà fosse un tantino diversa da quella francese. Mi spiego meglio: i rappresentanti italiani del pensiero dominante, quelli che spaziano dai media di servizio ad alcuni gangli accademici, sono più omologati e molto più servizievoli. Con questo voglio dire che se all’estero si ha a che fare ancora con delle menti in grado di decidere autonomamente, in Italia siamo giunti ormai alla lottizzazione, alle rappresentazioni delle tendenze più in voga ed extra-europee, con una pusillanimità da far impallidire il peggiore dei gregari. Gli intellettuali ed i filosofi, ovviamente mica tutti, all’estero godono di molta più libertà e considerazione che da noi in Italia. 

In Francia ma anche in altri paesi europei, le qualità intellettuali non sono una sciagura, tutt’altro! Ma soprattutto, pur essendo anche loro alle prese con la “spettacolarizzazione” mediatica e le ideazioni dei personaggi TV, si scontrano ugualmente con la stessa arroganza e mentalità, fuori e dentro il tubo catodico, con alcuni pensieri degli studi scientifici come da noi in Italia, dove invece, non hanno quasi nessuno che li contrasta. Il riferimento va a quei cultori della materia, agli pseudo filosofi che puntano tutto sul virtuosismo lessicale e ad un gergo forbito, per ripetere gli stessi due o tre concetti, simili se non sempre gli stessi. 

Per ciò che concerne i “circoli identitari” di qualsivoglia natura o provenienza, il discorso verte solo sulle nozioni novecentesche degli Stati-nazione. Questo, a nostro avviso, senza soffermarsi su ciò che accade oggi, senza ascoltare i consigli che giungono dal passato, perdendosi il presente e senza riuscire a scorgere l’avvenire. Trattasi dei limiti dell’«indentitarismo», un altro Ismo. Cosa molto diversa dal pensare al concetto d’identità e non soffermarsi su di un passato che si pensa di poter riproporre tale e quale, quando la Storia non si ripresenta mai in maniera identica. Simile, ma non identica. Parliamo di quegli «identitarismi», soprattutto quelli di destra, che non pongono una critica costruttiva alla destra proprio da destra. Alla stessa maniera dei dirimpettai di sinistra, al di là del fiume, che non si pongono la questione di cosa sia l’identità a sinistra, occupandosi di altro e parodiando gli aspetti deteriori della cultura alternativa degli anni ’60 cioè: la mancanza ed una critica inadeguata al consumismo e al progresso. 

Ovviamente, le comunità nazionali sono importanti ma si è persa la nozione di ethnos: intesa come «una comunità caratterizzata da omogeneità di lingua, cultura, tradizioni e memorie storiche, stanziata tradizionalmente su un determinato territorio»; composta da tutte le distinzioni del caso ma nell’insieme con molte più cose in comune, in specifico l’originalità, di qualsiasi altre. Perciò, parlando d’Europa, prima di comprendere il contesto “globale”, bisognerebbe domandarsi perché l’Europa è impossibilitata a ripercorrere un probabile ritorno nella Storia. Cosa che a noi, con franchezza, non sembra affatto essere una delle priorità di questi circoli identitari. Ai nostri occhi, sembrano più rifarsi al primato del razionalismo moderno che a delle comunità che hanno capito l’importanza del distaccarsi dalla «Modernità», riti e visioni del mondo compresi”. 

L’Europa per alcuni è un sovrastato tecnocratico, per altri un mito fondante. Per il G.R.E.C.E.?

“Per noi l’Europa è molto importante. Quando si parla d’Europa, non bisogna però confonderla con l’Occidente. Possiamo dire che la sfera occidentale prende vita con i trading post dell’Inghilterra del XVI secolo e di inizio XVIII, per poi passare alla fine dell’Impero britannico il testimone agli Stati Uniti. Inoltre, assistiamo ad un’interpretazione errata dell’occidentalizzazione, comunemente ritenuta essere il «processo attraverso cui popoli estranei alla civiltà occidentale si accostano a essa in varia misura sino a farla propria nei suoi aspetti esteriori più assimilabili – moda, costumi, ecc. – oppure più profondi». 

Quando invece, il significato corretto è quello che indica il processo attraverso il quale i popoli in origine estranei alla cultura e alla civiltà europea e non di quella occidentale, si accostano a essa in varia misura sino a farla propria nei suoi aspetti esteriori più assimilabili e più profondi. La prima definizione dell’occidentalizzazione si trova persino sul dizionario della Treccani! Siamo davanti ad un dato di fatto: abbiamo assorbito l’occidentalizzazione mettendo in secondo piano la nostra cultura. Non contenti, lo abbiamo fatto e continuiamo a farlo con qualsiasi altra cultura con cui veniamo in contatto. Dimenticando, che l’Altro ci riconosce per la nostra cultura specifica, prima di tutto per quella. Congiuntamente al mito fondante, bisognerebbe pensare ad un’Europa e «farlo rispettando il Logos, il fine e lo scopo ultimo che è poi il Télos».

Altra cosa è l’occidentalizzazione del mondo e la sua irreversibile uniformità, quel «minore dei mali» ben descritto dal Jean-Claude Michéa nel suo saggio “L’impero del male minore “– Libri Scheiwiller, 20 novembre 2008 –. Un saggio che ben descrive a nostro avviso, il neo dominio dell’uomo nuovo, del “migliore dei mondi” che indirizza ogni suo sforzo all’amministrazione politica del “minore dei mali”: ovvero, al progressivo innalzamento della diffidenza sistematica della paura della morte e su come scongiurarla, costi quel che costi, a detrimento dei sentimenti, delle emozioni, dei legami, delle relazioni e della reciprocità. Soverchiati da un egoismo interessato senza precedenti e affidandosi ciecamente alla religione dell’utilitarismo, alla diffusione globale della dottrina neo-liberale, del consumo e dell’ideologia di mercato che ammanta il “Vecchio Continente”. 

Prima di tutto, la domanda che dovremmo porci è la seguente: l’UE, fondata su degli assunti in stretta correlazione con l’economicismo metodologico e la finanziarizzazione dell’economia, rappresenta l’Europa o un qualcosa di diverso? Ovviamente, un qualcosa di diverso dai 30.000 anni di civiltà, cultura, identità, tradizioni, usi e costumi etc., di una visione del mondo autenticamente europea e non occidentale. 

Una visione d’insieme che dovrebbe riguardare tutti i popoli europei e che esula dalla forma mentis attuale, mettendo a fuoco il nemico principale: il capitalismo e la società di mercato sul piano economico, il liberalismo sul piano politico, l’individualismo sul piano filosofico, la borghesia sul piano sociale e gli Stati Uniti sul piano geopolitico. L’UE è un’unione federale solo sulla carta ma non lo è nella sua attuazione. L’Europa in cui crediamo è un «Grande Spazio» che dialoga con dei poli che hanno molte più cose in comune di altri, prestando attenzione all’assioma schmittiano amico/nemico. Crediamo in un’Europa non spoliticizzata – «L’Europa può avere valore politico solo se intesa come civilizzazione culturale e dignità spirituale dei Popoli che la compongono» –, sovrana e per nulla alle prese con i particolarismi nazionali, pur riconoscendone le differenze ed il sentire comune che sono la sua forza, in un’Europa autenticamente federale che non sia uno strumento ma il fine ultimo. Un’Europa di potenza e d’Impero. Tutt’altra cosa dall’unione burocratizzata e tecnocratica, che dice di chiamarsi come la figlia di Agenore”. 

Come si organizzerà l’attività del centro studi?

“Nella riunione di Milano ci siamo dati una forma, abbiamo scelto la coralità nel prendere le decisioni al posto delle individualità. Ci siamo dati degli obblighi, dei doveri e degli obbiettivi comuni. Detto ciò, visto che siamo un Centro Studi ed una Associazione multidisciplinare, non ci occupiamo di politica. Tutt’al più di quei fenomeni e processi che riguardano la metapolitica. Porteremo avanti delle iniziative in svariati ambiti e sfere, da quelli professionali a quelli delle discipline e degli argomenti che andremo a trattare. Abbiamo deciso, non a caso, di darci una forma definitiva con l’avvento della pandemia. Crediamo sia il momento giusto per impegnarci ancor di più culturalmente. Abbiamo già iniziato il primo ciclo di conferenze e simposi, purtroppo online a causa della pandemia ma che avevamo già calendarizzato in giro per l’Italia. Quando sarà possibile, alterneremo le due cose, sempre in base alla situazione generale. Tutto questo senza nessuna preclusione per chi la pensa diversamente e confrontandoci sui temi che ci stanno a cuore, secondo le competenze di ognuno, le specifiche, gli studi, le professioni e gli impegni. Chiuderemo questa prima fase di lavori culturali che abbiamo in mente nelle città in cui viviamo e non, dal Nord al Centro ed al Sud dello Stivale. Parallelamente stiamo già lavorando per dare alle stampe delle novità editoriali. Per non ora non posso dire di più, altrimenti che novità sarebbero?”. 

I primi e i prossimi eventi del G.R.E.C.E.?

“I primi eventi che abbiamo realizzato riguardano l’ecologia – “Ecologia: habitat come limite alla crescita infinita” –, le serie TV – “Metapolitica delle Serie TV. Rivincita dell’immaginario e contestazione della realtà” – e la musica – “Musica indipendente e controcultura” –. Il prossimo sarà dedicato alla geopolitica con ospiti e relatori d’eccezione. Dopodiché, come ho scritto prima, nell’anno nuovo valuteremo la possibilità di fare i primi eventi fisici. Il primo in programma è sulla metapolitica, in particolare sul “populismo”, con il professor Marco Tarchi. A seguire, approfondiremo le tematiche del Transumanesimo e del post umano – in chiave critica e speculativa –, successivamente faremo del convegno sul cinema, sulla filosofia ed il “fantastico”. Insomma, l’anno nuovo sarà all’insegna delle cose di cui ci piace occuparci. Siamo convinti che bisogna giungere a delle sintesi puntuali che possano essere d’aiuto per chi le vuole cogliere”.

Michele De Feudis

(Intervista rilasciata a Michele De Feudis, direttore del magazine Barbadillo.it, “Il G.R.E.C.E. Italia e l’opzione metapolitica tra Europa, identità e ethnos”, 29 novembre 2020)

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